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**CDR CONTESTA TROPPI COLLABORATORI AL CORRIERE DELLA SERA NON ASSUNTI**

(Il direttore Mieli attaccato dal sindacato interno per i 16 milioni di euro spesi per collaboratori e affini)


(di Michele Brambilla) - La notizia è che il sindacato del Corriere contesta Paolo Mieli perché fa ricorso ai collaboratori e non assume dipendenti; ma prima di raccontarla voglio ricordare un episodio che credo spieghi molte cose. Dunque, il ricordo è questo. Era la fine del 1985 e il sottoscritto, appena assunto in via Solferino, stava alla redazione metropoli: quella che confeziona le pagine sulla provincia di Milano. Allora non c'erano i computer, si lavorava con le macchine per scrivere. (...)(...) Negli orari di punta in redazione c'era un casino pazzesco: ticchettìo spaccanervi; telefoni che squillavano in continuazione; fattorini che andavano e venivano portando le agenzie stampate su carta (adesso ciascuno le vede comodamente sul proprio videoterminale); nuvole di fumo perché il politicamente corretto divieto di accendersi una sacrosanta sigaretta non era neppure immaginabile. Finito di scrivere, si consegnavano i fogli battuti a macchina, e pieni di correzioni a penna, alla tipografia; poi si saliva su, all'ultimo piano, a impaginare. Un mondo forse sorpassato ma con un suo fascino, tanto che alcuni grandi giornalisti ancora oggi non vogliono staccarsi da quelle vecchie rumorosissime Olivetti. Una di queste Olivetti, quella del mio simpaticissimo collega Adolfo Fiorani (sono certo che non si arrabbierà, se faccio il suo nome senza chiedergli il permesso), si guastò. Al Corriere c'era una squadra di tecnici, e uno venne a ritirare la macchina per scrivere. Rimasto senza attrezzo, Fiorani si fece prestare una portatile, la mitica Lettera 22, dalla segreteria di redazione. Giorni dopo, un tecnico venne a portare l'Olivetti riparata. Fiorani ringraziò e chiese al tecnico se, per cortesia, poteva restituire alla segreteria la Lettera 22 avuta in sostituzione. «Mi dispiace », disse il tecnico, «ma questo è un lavoro che compete ai fattorini». Fiorani chiamò dunque un fattorino, ma questi gli rispose: «Mi dispiace, ma io sono il fattorino del piano terra, e la segreteria di redazione sta al primo piano. Deve chiamare il mio collega del primo piano ». Fiorani lo chiamò. Ma questi rispose: «Mi dispiace, ma io sono il fattorino del primo piano, non posso scendere al piano terra». Fiorani, persona squisita, tagliò corto: «Nessun problema, la porto su io, alla segreteria ». «Eh no», rispose secco il fattorino, «lei non può farlo perché questa è una mansione che spetta a noi». Il mio fin troppo paziente collega si appellò al buon senso. Ma della questione fu investito il responsabile dei fattorini che si presentò in redazione e comunicò a Fiorani la sentenza: «Non c'è niente da fare. Il fattorino del piano terra non può salire al primo piano e quello del primo piano non può scendere al piano terra. Così come lei non può usurpare una mansione che non le spetta. Si rassegni». Credo che quella Lettera 22 sia ancora lì, a piano terra, da qualche parte. Ho fatto questo lungo racconto perché credo che c'entri, eccome, con la protesta cui facevo cenno all'inizio. Il comitato di redazione (per i non addetti ai lavori: il sindacato interno dei giornalisti) protesta con l'azienda perché «lesina gli investimenti mirati alla qualità su redazione, risorse e strumenti di lavoro». Aggiunge un dato che, a prima vista, sembra davvero esorbitante: il Corriere spende 16 milioni di euro all'anno per pagare 168 collaboratori e 900 free lance. In totale, più di mille giornalisti che lavorano per il Corriere senza essere assunti ex articolo 1, cioè senza essere dipendenti a tempo pieno e indeterminato. Secondo il giornale Finanza & Mercati, formalmente l'attacco è contro l'azienda, ma di fatto è anche e soprattutto contro il direttore Paolo Mieli: «Si è consumato un vero e proprio strappo tra la redazione e il direttore Paolo Mieli». Insomma: lo stesso comitato di redazione che non aveva battuto ciglio quando Mieli ha ufficializzato la scelta di campo del giornale a favore del centrosinistra (anzi, il Cdr aveva chiesto di fare piazza pulita degli editorialisti non allineati in favore di Prodi) adesso attacca il direttore perché spende troppo per i collaboratori. Certo 16 milioni di euro sono molti. Ma sapete quanti giornalisti articoli 1 - dipendenti - ha il Corriere? Duecentosessanta a Milano, ottanta a Roma, più gli inviati e i corrispondenti dall'estero. In totale, poco meno di quattrocento. Per fare un giornale di 80 pagine. Di cui 30-35 sono di pubblicità. Un'altra decina se ne va per inserzioni, necrologie, tabelloni dei cinema e della Borsa, meteo e così via. Insomma: quattrocento giornalisti dipendenti per fare al massimo una quarantina di pagine nette. Viene un dubbio: siamo sicuri che un così massiccio ricorso ai collaboratori sia colpa di Mieli? Non è che se tutti i quattrocento lavorassero non dico tanto, ma le canoniche sette ore e 12 minuti al giorno previsti dal contratto, non ci sarebbe bisogno di chiedere rinforzi? A poche cose sono più affezionato che al Corriere. Lì ho passato diciotto anni della mia vita - sono entrato in via Solferino che avevo 26 anni, ne sono uscito che ne avevo 44 - e lì ho imparato tutto quello che so. Non credo di mancare di riconoscenza al Corriere se scrivo che l'attacco a Mieli mi sembra assurdo. Lo sanno tutti che in quel giornale - come in molti altri grandi giornali, per la verità - ci sono giornalisti che dovrebbero guadagnare il quintuplo di ciò che guadagnano perché danno anche l'anima; e un altro gruppo di giornalisti, ben più numeroso, che andrebbe cacciato per lazzaronaggine. Faccio per dire: in Italia non si può licenziare nessuno, tantomeno in un giornale dove i lacci sindacali sono (ancora oggi) quelli dell'episodio che ho raccontato sulla Lettera 22 del collega Fiorani. E ce ne sarebbero a centinaia, di episodi come quello. Qualche anno fa Massimo Fini scrisse che Raffaele Fiengo - lo storico leader del comitato di redazione, specializzato nel chiedere più risorse e nel contestare l'uso dei collaboratori - non aveva «mai scritto un rigo in vita sua». Fiengo lo querelò e vinse la causa perché produsse la prova della sua laboriosità: non era vero che non aveva scritto neanche un rigo, aveva scritto 53 articoli in una trentina d'anni. Ma sì: 53. Oggi gli eredi di Fiengo contestano l'azienda perché non assume e un direttore come Mieli - l'unico, nella storia, a guidare per due volte il Corriere - perché fa lavorare i collaboratori. Finanza & Mercati scrive che Mieli è stufo e potrebbe andarsene. Per quel che lo conosco, credo che affrontare la scalata di Ricucci sia stato, per lui, faticoso; ma discutere con gli eredi di Fiengo insopportabile. (da Libero del 21 maggio 2006)

 
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