
SETTEMBRE AL BORGO: ROSALIA PORCARO INTERVISTA ERRI DE LUCA
Data: Lunedì, 04 settembre @ 11:26:11 CEST Argomento: Spettacoli
Nella foto ufficiale lui ha un sorriso schivo, ma pieno di umanità; lei invece ha il volto tirato dall’emozione. Lo scrittore Erri De Luca e la comica Rosalia Porcaro si sono incontrati oggi per la prima volta, pochi minuti prima dell’inizio del loro dibattito nella chiesa dell’Annunziata nell’ambito delle manifestazioni di Settembre al borgo. Uniti dalla comune origine napoletana, ma diversissimi negli stili di vita, confermano il miracolo di questo festival: riuscire a mettere insieme personalità differenti, mescolando stili e ruoli. Così la Porcaro, abituata solitamente a far ridere con le sue caricature (celebre l’interpretazione di Veronica, operaia in una fabbrica di borse), per un’ora fa la giornalista e intervista Erri De Luca, che resta Erri De Luca, parla del suo ultimo libro “Napolide”, ma poi racconta anche di sé, di quand’era bambino “e a casa recitavamo le commedie di Edoardo, facendoci grandi risate” e della sua passione per la montagna: “E’ la mia regola fisica. Io non sono religioso, diciamo che la montagna è il mio culto”.
La Porcaro ha un volto nuovo: lei abituata ad esibirsi davanti a platee sempre affollate, si fa piccola accanto allo scrittore: “Qualcuno potrebbe chiedersi – a ragione – cosa c’entri io qui. Non lo so, ma sono felice”. De Luca la tranquillizza: “Ogni libro è anche del lettore. Il lettore può fare tutte le domande che vuole, non come certi intervistatori che non leggono neanche una riga e poi ti chiedono: di cosa parla la sua ultima opera?”.
Il direttore artistico Casimiro Lieto fa gli onori di casa: “Ogni spettacolo è un isola che non c’è nel panorama delle abitudini. Ma qui a Settembre al borgo tutto è possibile”. L’intervista può iniziare.
Si parla del dialetto napoletano. “Qual è la sua espressione preferita”, chiede l’inedita Porcaro. “L’infinito del verbo andare – replica De Luca - che in napoletano è la parola più corta, è una sola vocale: i. Io ho obbedito sempre al verbo andare, non sono mai fuggito”.
Napolide parla del distacco dello scrittore da Napoli. Napolide è un neologismo: “Apolide – spiega l’autore – è chi è senza passaporto. Io non ho perso il passaporto, semplicemente il posto. Me ne sono andato da Napoli nel 1968 per insofferenza verso un destino apparecchiato, espulso come una pallina del flipper, spinto forte da una molla, cercando di raggiungere la buca il più tardi possibile”. Ma Napoli non si dimentica, “resta sotto pelle”, scrive De Luca nel suo libro. E la Porcaro conferma: “Un napoletano continuerà sempre a pensare in napoletano. Io mi divido tra Napoli e Milano, ma Milano non la vivo”.
La Porcaro è appena diventata mamma, suo figlio ha solo 40 giorni. Lei e De Luca parlano dei bambini e dell’essere bambini a Napoli. Lo scrittore cita De Sica: “In un suo film, suonavano le campane per ogni bambino morto. Si diceva che gli angeli lo portavano in cielo, in realtà, in passato, la vita di un bambino a Napoli non aveva alcun valore. Quando sono nato io, era la città con il più alto tasso di mortalità infantile d’Europa”. Non ho il coraggio di dirlo, interviene la neomamma, “ma mio figlio è nato a Milano. Qualche giorno fa ho incontrato il mio amico Enzo Gragnaniello, che mi ha detto: nato a Milano? Maronna mia. Mang’ i cani! Comunque, essere bambino a Napoli è un’esperienza che ti tara. Tutti i miei personaggi nascono dal ricordo di figure incontrate quando ero piccola, che non ho mai più dimenticato”.
La Porcaro chiede infine a De Luca cosa cambierebbe di Napoli senza alcun rimpianto: “Il ceto politico. Lo vorrei monacale, cioè che si dedicasse solamente al bene della città”. Lo scrittore parla poi a ruota libera. Di Maradona, “pagatore totale di tutti i suoi errori, a differenza di tante persone che non pagano mai”; della pasta “compagna della sera di ogni uomo che vive solo”; del borgo antico di Caserta: “Se si trovasse in Spagna, in Francia o in qualunque altro posto del mondo, sarebbe la cornice ufficiale e canonica di qualunque manifestazione culturale. Ma siamo pur sempre a Caserta”. (4 settembre 2006-11:25)
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