Per poter ricevere la liquidazione della parcella relativa all’assistenza legale d’ufficio prestata ad un albanese attualmente latitante (il quale aveva eletto domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio al momento del suo arresto), un avvocato del foro di Santa Maria Capua Vetere sarà costretto ad agire in via esecutiva contro se stesso. In sostanza, il legale dovrà effettuare un pignoramento presso il suo studio e al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario, quest’ultimo dovrà certificare che, in realtà, il destinatario del pignoramento è solo elettivamente domiciliato presso quello studio legale. Solo dopo questa anomala, lunga e dispendiosa trafila procedurale, l’avvocato potrà richiedere il pagamento del proprio onorario. Protagonista della paradossale vicenda è l’avvocato Antonio Cassino il quale si è visto negare dal giudice monocratico di Aversa, Giovanni Carbone, la richiesta di pagamento della parcella con la motivazione che l’imputato, Adrian Muca, all’atto della scarcerazione, aveva eletto domicilio. Domicilio, però, che risulta essere lo stesso dell’avvocato difensore d’ufficio. Dunque, a fronte di un sicuro pignoramento negativo che accerterà l’irreperibilità dell’albanese, va considerato anche l’ulteriore lievitazione dei costi a carico dell’Erario per la dispendiosa procedura. Né, è stato possibile, per l’avvocato – che ha inoltrato una segnalazione all’Ordine foresne sammaritano – depositare un decreto di latitanza mai emesso dagli organi competenti. L’albanese, il cui nome potrebbe essere uno dei tanti alias, al suo processo, però, non si è mai presentato tanto da essere giudicato in contumacia.
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