POMIGLIANO D'ARCO (NAPOLI), 19 GIUGNO 2010 - Sono scesi in strada, con una fiaccolata, per dire sì all'accordo tra la Fiat e i sindacati. Per dire che si ha voglia, necessità di tornare a lavorare. In 5.000 alla partenza - 3.000 a corteo finito, complice la pioggia - hanno chiarito la loro posizione e hanno anticipato che martedì prossimo, quando in fabbrica ci sarà il referendum, ci sarà anche chi non scriverà no. La Fiom non usa mezzi termini: "Chi pensava di dividere i lavoratori - ha sottolineato Andrea Amendola, segretario provinciale - ha, invece, avuto conferma che non si fanno abbindolare. Vogliono lavorare ma vogliono anche i loro diritti". Sulla stessa linea anche la Cgil campana: "E' stato un flop". Per tanti oggi l'obiettivo doveva in qualche modo essere lo stesso di quello di trent'anni fa, di quel 14 ottobre del 1980, quando a Torino in 40.000 tra impiegati e quadri della Fiat protestarono contro il picchettaggio - organizzato contro la decisione della Fiat di mandare in cassa integrazione 24mila lavoratori - che impediva loro di entrare in fabbrica a lavorare da 35 giorni. Numeri, epoche e scenari diversissimi, ma il messaggio, di allora e di oggi, voleva essere lo stesso: lavorare. E quindi, dire di sì all'intesa sottoscritta lo scorso 15 giugno, tranne che dalla Fiom; manifestare il consenso all'accordo per la produzione della Nuova Panda. Oggi a sfilare c'erano anche i capi reparto e capi squadra, accusati in questi giorni di aver fatto pressioni sugli operai. Hanno precisato: "E' una iniziativa spontanea". "Abbiamo spiegato ai lavoratori i termini dell'accordo - ha sostenuto Lorenzo, uno dei capi squadra - ed ora sta a loro decidere, anche se noi speriamo in un sì che dia un futuro non solo al 'Vico' ma all'intero sud". "L'azienda non ci ha chiesto nulla - ha aggiunto Giocondina, impiegata nel reparto Qualità - e noi voteremo sì al referendum perché crediamo nel progetto Panda e nell'accordo che non calpesta i diritti, non nega lo sciopero, né di essere malati". In prima linea anche le istituzioni, come il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, e il sindaco di Pomigliano, Lello Russo. E poi i lavoratori dell'indotto. "Se chiude Pomigliano noi resteremo senza un lavoro", dice Stefano Colucci, operaio della ditta De Vizia che si occupa delle pulizie interne allo stabilimento. Il Pdl, per favorire il sì, nella mattinata aveva allestito gazebo per raccogliere firme: ottocento, a detta degli organizzatori, quelle raccolte. La Fiom resta ferma sulle sue posizioni: "Si conferma che siamo di fronte ad una vera e propria manifestazione di regime che ci riporta agli anni più tragici e bui della storia del nostro paese", ha detto il segretario Maurizio Landini. E alcuni aderenti al Cobas, durante il corteo, sono andati oltre: hanno esposto striscioni con la scritta 'servi del padrone'. Fischi e insulti al passaggio della fiaccolata ai quali gli operai hanno risposto urlando 'Pomigliano, Pomigliano'. Attimi di tensione che hanno fatto allontanare dalla fiaccolata molte famiglie. Alla fine ci ha pensato la pioggia a far sciogliere la marcia: in piazza Mazzini, davanti al Comune, ne arrivano in circa 3.000. Pomigliano, dunque, ancora aspetta. Le ragioni del sì si alternano a quelle del no. E martedì prossimo il referendum, in fabbrica, tirerà la somma. Una volta per tutte
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