MIGNANO MONTELUNGO (Caserta) - Passo dopo passo, anno dopo anno, Giorgio Napolitano ricuce la ferita antica che per sessant'anni ha diviso gli italiani di destra e di sinistra attorno al significato della celebrazione del 25 Aprile. Quest'anno, con i discorsi di Forno di Coazze e di Mignano Montelungo il presidente della Repubblica ha fissato un significativo risultato distensivo che trova conferma nelle dichiarazioni odierne di Silvio Berlusconi e del ministro Ignazio La Russa che rilanciano entrambi le parole del capo dello Stato, senza utilizzare i toni accesi degli altri anni. Napolitano ha invitato tutti gli italiani a riconoscersi senza riserve nella Costituzione che racchiude lo spirito della Resistenza. Ha invitato a farlo "anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-45 e quanti ne hanno una diversa memoria per sofferta esperienza personale o per giudizi acquisiti". Bisogna farlo perché, ha detto, "questa è la base per una rinnovata unità nazionale, non più segnata da vecchie, fatali e radicali contrapposizioni". Quello del Presidente della Repubblica non è un invito ad accantonare il giudizio storico e politico sui drammatici combattimenti del 1943-1945, ma un invito a distinguere fra sentimento e ragione, fra passioni ideologiche e valori di libertà. Una cosa, ha detto, sono la pietà e il rispetto, due sentimenti che non si possono negare a nessun caduto di qualsiasi parte, e che ci devono accomunare tutti. Altra cosa è l'onore che la Repubblica rende doverosamente nella ricorrenza del 25 aprile al valore di tutti coloro che si schierarono e si batteroro per la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazifascista. Non occorre citare la Repubblica di Salò né dire che a chi combatté con quella divisa la Repubblica italiana non può concedere lo stesso onore. Non l'ha citata Napolitano, e neppure La Russa, che ha accompagnato Napolitano al Sacrario militare di Mignano Montelungo e ha preso la parola prima di lui. Un anno fa, a Genova, Napolitano riconobbe che la lotta di liberazione dall'occupazione nazifascista fu anche "guerra civile", dunque guerra fra italiani, guerra che lasciò ferite, lutti e risentimento fra vincitori e vinti. Quest'anno il presidente della Repubblica non lo ripete. Tiene a sottolineare due altri passaggi di quel discorso di Genova: quello in cui, citando Cesare Pavese, disse che dopo oltre sessant'anni "il rispetto e la pietà" per tutti i caduti, dell'una e dell'altra parte, accomuna gli italiani, e l'altro secondo cui gli italiani "possono riconoscersi tutti nella Costituzione". Le stesse parole che l'anno scorso non attecchirono quest'anno hanno generato frutti. Nelle valli piemontesi, Napolitano ha sottolineato che nessuno può disconoscere il valore "determinante" dato dalle formazioni partigiane alla Lotta di Liberazione. Oggi, accanto alle falde del Monte Cassino ha ricordato l'importante contributo dei militari che dopo l'8 settembre ripresero le armi e combatterono contro le truppe di occupazione tedesche riscattando così l'onore dell'Italia. Proprio a Mignano si combatterono, l' 8 dicembre e il 6 dicembre 1943 due battaglie decisive per risollevare le quotazioni dell'Italia nella considerazione degli Alleati. E non è vero, ha aggiunto Napolitano, che la Resistenza militare fu un fenomeno limitato. A smentirlo sono le testimonianze di valore e le cifre: 50 mila combattenti, 470 caduti, 1195 feriti, 175 dispersi. "Fu una tragedia nazionale da cui l'Italia seppe risorgere come paese libero e democratico".
"Gli americani ci dissero che i tedeschi là sopra non c'erano più, ma invece c'erano e ce ne accorgemmo quando attaccammo". Antonio Ambra, 88 anni, ingegnere, quell'8 dicembre 1943 a Mignano Monte Lungo (Caserta) comandava la pattuglia di osservazione. Era un volontario. Con un filo di voce racconta la prima battaglia dei ricostituiti reparti dell' esercito italiano. "Alle 6.30 chiesi il fuoco al reparto di artiglieria. Loro erano a 500 metri di distanza e si sparava ad alzo zero". In cima a Monte Lungo, sul versante opposto a quello che guarda il Sacrario dei Caduti, a 391 metri di altezza, c'erano i "panzergranadier" tedeschi che rispondevano con le mitragliatrici. "E con loro - racconta lo storico militare Giuliano Manzari - combattevano anche degli italiani". Una stele non lontano dal Sacrario ricorda un caduto della Repubblica sociale. "La notte era stata da incubo, sotto la pioggia - ricostruisce il generale Luigi Poli, presidente dell' Associazione Nazionale combattenti della guerra di liberazione - non sapevamo che cosa ci attendeva l' indomani. Ci avevano detto solo che dovevamo andare a combattere per conquistare Monte Lungo, punto di forza tedesco sulla linea Gustav, e di aver di fronte un velo di forze tedesche". Il fuoco cessò verso le 11. "La vetta fu conquistata - ricorda l' ingegner Ambra - ma gli americani non ci protessero adeguatamente e dovemmo lasciarla". I morti furono 82 tra i nuovi reparti italiani, molti di più i dispersi. "Il giorno dopo - racconta il generale Poli, 86 anni, un altro dei combattenti di Monte Lungo - ci venne a trovare il generale Clark, comandante della V Armata Usa, e ci disse che avremmo riattaccato dopo pochi giorni lo stesso obbiettivo meglio appoggiati. Il 16 dicembre Monte Lungo fu attaccato nuovamente e conquistato da americani ed italiani". Sono 20 i reduci della battaglia presenti al Sacrario di Mignano Monte Lungo, con le medaglia appuntate sul petto. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si ferma a salutarli e Antonio Ambra gli chiede "una medaglia per tutti coloro che hanno combattuto qui". Più tardi, al Municipio di Mignano, un altro reduce, Carlo De Carlo, 87 anni, si ferma a stringergli la mano e gli dona un libro sulla battaglia. (25 aprile 200)
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