(di Pina Bruno dal Corriere del Mezzogiorno del 13 luglio 2006)
Cinquanta euro a voto. Il
clan operava in tutti i settori anche
quello delle elezioni amministrative
del 2005. Solo che il candidato
della quercia al quale la banda
aveva garantito l’appoggio
non è stato eletto. È uno degli
aspetti dell’indagine che ha portato
in carcere diciotto persone appartenenti
alla pericolosa cosca
dei Venosa, vicina al clan dei casalesi,
arrestate all’alba di ieri dalla
squadra mobile di Frosinone, in
collaborazione con quella di Caserta.
I reati contestati sono: associazione
a delinquere di stampo
camorristico, estorsione aggravata,
spaccio di sostanze stupefacenti,
truffa, illecita duplicazione
e vendita di prodotti musicali.
Nell’inchiesta sono finiti anche
duemilitari delle fiamme gialle, all’epoca
dei fatti in servizio nella
Compagnia di Aversa, per un episodio
di corruzione relativo a un
controllo effettuato in un negozio
controllato dai Venosa. I finanzieri,
ora agli arresti domiciliari, non
avrebbero messo a verbale l’esistenza,
all’interno del negozio, di
cd musicali contraffatti e destinati
alla vendita. In cambio, avrebbero
ricevuto in regalo costosi telefonini.
Questo episodio testimonia come
i clan che operano nel casertano
assumano nei confronti delle
istituzioni, atteggiamenti di sfacciata
«apertura», e non di muro
contro muro, finalizzati
alla corruzione.
L’organizzazione si è
resa responsabile anche
di voto di scambio.
La cosca, infatti,
si era adoperata, nelle
elezioni provinciali
del 2005, per sostenere
un politico candidato
nelle liste Ds,
ma che nonostante
l’impegno della banda non è stato
eletto.
Cinquanta euro per ogni voto:
questa la cifra pagata al clan. Per
il candidato nessuna misura cautelare.
Almeno fino ad oggi. L’indagine—
basata su intercettazioni
telefoniche, pedinamenti, e
qualche deposizione rilasciata
dalle vittime del racket — si era
concentrata all’inizio sul capo
clan Luigi Venosa che, dopo essere
stato colpito da un divieto di dimora
in Campania, aveva spostato
l’epicentro dei suoi affari illeciti,
da San Cipriano d’Aversa a
Cassino. Del resto, negli ultimi
dieci anni il gruppo dei casalesi
ha esteso i suoi tentacoli in tutto
il basso Lazio, stringendo
nella morsa
del ricatto commercianti
e imprenditori,
con un accanimento
particolare verso
coloro che operano
nel redditizio settore
agro alimentare. Il
mercato ortofrutticolo
di Fondi, ad esempio,
è considerato addirittura
un crocevia dei gruppi
criminali casertani. Dopo il divieto
di espulsione, Venosa fu arrestato
nel luglio 2005 a Cassino,
perché responsabile di estorsioni.
Da ulteriori indagini, è poi emerso
che Luigi Venosa ha continuato
i suoi sporchi affari dal carcere,
dove è recluso tuttora, affidando
la guida al nipote Raffaele Venosa.
«Nel giro di pochi anni — ha
spiegato Olimpia Abbate, capo
della Squadra mobile di Caserta
—il clan aveva messo in piedi una
struttura oramai manageriale.Oltre
alle estorsioni ai danni di imprenditori
e commercianti, spesso
costretti a emigrare, il clan aveva
scoperto anche il settore della
pirateria musicale e quello della
distribuzione di caffè, sempre, ovviamente,
aggirando le regole».
RaffaeleVenosa gestiva i suoi affari
da Cassino, così come lo zio gli
aveva chiesto.E quest’ultimo, nonostante
fosse in regime carcerario
duro, continuava a dettare ordini
attraverso un frasario in codice.
Alla fine, il boss con il pallino
dell’imprenditoria, è stato sbattuto
in galera con il nipote e altri 16
affiliati. Altre tre inquisiti risultano
irreperibili. Gli arrestati dovranno
rispondere anche di porto
illegale d’armi: durante il blitz di
ieri, alcuni familiari hanno tentato
di disfarsi di un borsone carico
di armi e munizioni, gettandolo
dalla finistra. Il forte boato ha poi
fatto il resto.