CASERTA, BENI SEQUESTRATI AL CRIMINE ORGANIZZATO: PERCHE' NON VENDERLI?
Data: Venerdì, 05 agosto @ 20:22:05 CEST
Argomento: Giudiziaria




CASERTA, 5 AGOSTO 2011 - (Editoriale di Mariano Omarto, penalista del foro di Santa Maria Capua Vetere) - Anche su questo punto, la sinistra parlamentare non ha mancato di fare demagogia sulla allora proposta del governo Berlusconi, di destinare alla vendita i beni immobili oggetto di confisca ai sensi e per l’effetto della normativa antimafia, in modo da destinare le risorse da essa provenienti alle forze dell’ordine e magistratura. Finanziare cioè quei simboli e baluardi nella lotta al crimine ed al contrasto alle organizzazioni malavitose. Una posizione che reputo preconcetta, ha indotto il centrosinistra a denunciare il pericolo che, attraverso la vendita, i beni potessero ritornare nella disponibilità delle organizzazioni a cui erano stati sottratti. Magari avvalendosi della disponibilità di terzi acquirenti che diventerebbero quindi fittizi intestatari di quegli immobili.Meglio, secondo la loro proposta, destinarli unicamente ad attività di carattere sociale o finalità istituzionali. Premesso che la legge prevede, quale unica forma di impresa da esercitare su di un bene confiscato, quindi quale vincolo di destinazione d’uso, la cooperativa sociale, è impensabile che tutti gli immobili possano essere effettivamente destinati a finalità sociali. Spesso a causa delle caratteristiche del bene o perché occorrono ingenti fondi per il loro recupero e la ristrutturazione. Capita sovente che restino inutilizzati per molti anni tanto da essere poi, all’atto dell’effettivo affidamento, pressoché inutilizzabili. Se il pericolo concreto è costituito dal fatto che qualche prestanome possa presentarsi ed acquistare il bene confiscato, chi ci assicura che nelle cooperative sociali non vi sia analogo pericolo?. Cioè, che persone di “fiducia mafiosa” si infiltrino per gestire quel bene?. Proprio di recente ed in tal senso, è stato abbastanza emblematico un servizio del tg satirico “Striscia la Notizia”, che denunciava proprio siffatta situazione per beni confiscati a “cosa nostra” nella città di Palermo. La prova che la sinistra – sul punto – ha fatto solo demagogia, risiede nella constatazione (possibile ad ogni avvocato o semplice cittadino) che ogni giorno presso i Tribunali di tutta Italia, si svolgono aste giudiziarie immobiliari. Molti terreni, appartamenti, ville o interi palazzi, vengono venduti all’asta ed aggiudicati dal miglior offerente. Qualcuno è capace o in grado di escludere che le organizzazioni mafiose, tramite loro emissari-prestanome si aggiudichino questi beni immobili?.Per caso viene svolto qualche controllo per verificare tizio dove abbia reperito le risorse finanziarie per aggiudicarsi un importante immobile nel centro di Caserta, Napoli o Roma?. A me non risulta che vi siano controlli in tal senso!. Mi si potrebbe obiettare che, però, in questo caso, non si acquistano beni confiscati ma bensì beni leciti in quanto appartenenti a persone o società esecutate. E’ senz’altro vero, ma è pur vero che tale strumento può generare il pericolo – altrettanto o forse ancor più grave – del reinvestimento o reimpiego immobiliare di capitali illeciti, dar vita cioè al fenomeno cd del riciclaggio. In realtà, la mole di immobili oggi oggetto di definitiva confisca è talmente ampia che non si può, in tutti i casi, pensare di destinarli a finalità istituzionali. Certo, lo Stato potrebbe fare una cernita assicurandosi per sé quelli di cui ha effettivo bisogno e che meglio si prestano a finalità e scopi pubblici, per destinare la restante parte a scopi sociali; alla vendita o magari alla locazione. Penso che grazie agli anticorpi di cui lo Stato oggi dispone, il pericolo denunciato dalla sinistra è solo apparente. Gli strumenti investigativi di indagine personale, finanziaria e patrimoniale di cui oggi le forze dell’ordine dispongono, sono in grado di annullare questo timore. La tracciabilità finanziaria dei capitali messi a disposizione dal terzo acquirente, in una alle investigazioni personali (del tipo di quelle messe in atto per certificazioni antimafia), renderebbero assolutamente nullo tale pericolo e, di converso, lo Stato potrebbe godere di maggiori risorse economiche e finanziarie per la lotta al terrorismo, al crimine organizzato o semplicemente per la prevenzione generale.





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