EGOCENTRISMO LETTERARIO, DI MEO: SAVIANO? INGANNO AI LETTORI
Data: Sabato, 10 gennaio @ 16:02:57 CET
Argomento: Cronaca




Un'inchiesta controcorrente sulla genesi del libro "Gomorra" e sul "fenomeno culturale" Saviano. La sta preparando sottoforma di libello il giornalista e scrittore Simone Di Meo che al VELINO ha anticipato i temi che verranno affrontati e ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a dedicarsi a questa pubblicazione. "Si trattera' di un pamphlet - dichiara Di Meo - in cui cerchero' di dimostrare in forma di stretta indagine giornalistica che Saviano si e' inventato molte delle cose scritte e come tante altre, dopo averle prese dai giornali, se le e' attribuite attraverso una spregiudicata operazione di egocentrismo letterario. Gli appunti che muovo a Saviano, oltre a essere provocati da una vicenda che mi ha coinvolto personalmente la quale mi ha spinto a fargli causa, riguardano anche una valutazione complessiva di natura culturale e giornalistica sul valore del personaggio e sul valore del lavoro da lui scritto". L'aspetto personale a cui fa riferimento il giornalista e' l'utilizzo in "Gomorra" di stralci di inchieste condotte per il giornale Cronache di Napoli da Di Meo che pero' non e' stato citato nel libro. "L'ufficio legale della Mondadori su mia segnalazione alla fine ha imposto dall'undicesima ristampa del libro in poi l'inserimento del mio nome. Almeno questo l'ho ottenuto", spiega Di Meo. Sono state soprattutto alcune dichiarazioni rilasciate da Saviano al festival di Mantova del settembre scorso, a provocare il risentimento di Di Meo: "In quell'occasione - racconta - Saviano accuso' alcuni giornali tra cui Cronache di Napoli di parteggiare per la camorra. Una cosa folle che non sta ne' in cielo ne' in terra. Oltre al quotidiano al quale collaboravo se l'e' presa pure con il Roma, il Mattino e altri. Prima saccheggia i giornali per scrivere il proprio libro e poi li accusa di stare dalla parte dell'illegalita'? Lo sa Saviano che il clan Giuliano mi mando' una corona di fiori in redazione come intimidazione per un articolo che era uscito? Lo sa che ci sono stati parenti di pentiti venuti in redazione con taniche di benzina con l'intenzione di bruciarci? Lo sa che riceviamo quotidianamente telefonate di rettifica minacciose per articoli scritti?". Di Meo rimarca anche l'"operazione scorretta dal punto di vista deontologico" compiuta da Saviano che si e' citato in "Gomorra" come protagonista di episodi che invece sono accaduti ad altri. "Nessun fotografo di Napoli lo ha mai visto arrivare in motocicletta sui luoghi degli agguati, come racconta nel libro - spiega Di Meo -; cosi' come e' lecito dubitare del passo in cui narra di essersi recato in un bar di Secondigliano a intervistare gli 'scissionisti'. E questi sono solo due episodi tra le tante parti del libro inventate". Di Meo sottolinea che sulla vicenda puo' parlare con cognizione di causa "perche' io e lui ci siamo frequentati quando occupandoci entrambi di camorra, come succede ai giornalisti che trattano questa tema, era facile che ci incontrassimo e avessimo scambi di opinioni e di valutazioni. Io gli ho raccontato episodi che erano capitati a me e li ho ritrovati in 'Gomorra' come se fossero accaduti a lui. Emblematica la parte dell'arrivo del boss Paolo Di Lauro in tribunale quando fece l'occhiolino a un affiliato seduto nel pubblico in aula. In quell'occasione c'ero io e lo possono testimoniare i colleghi di altre testate. Questa storia l'ho raccontata a Saviano e nel libro viene riportato che era capitato a lui di stare seduto quel giorno in aula. Capisco che sia esagerato mettersi a fare polemiche nel rivendicare la paternita' di chi abbia visto l'occhiolino di Di Lauro, pero' - stigmatizza Di Meo - non e' neppure giusto che adesso Saviano assurga a coscienza critica della categoria di giornalisti e che dopo aver rubato le esperienze altrui si metta a pontificare accusando i suoi colleghi di essere collusi con la camorra". Su "Gomorra", Di Meo evidenzia come si tratti di un libro che esalta in maniera parossistica la capacita' militare, economica, finanziaria, commerciale dei clan dimostrando nel contempo quanto lo Stato sia inetto a contrastare la camorra. "In tutto il volume - spiega il giornalista - non c'e' un nome di un magistrato, di un poliziotto, di un carabiniere, di un finanziere, di un vigile urbano che abbia con il proprio lavoro contrastato il fenomeno malavitoso. La procura di Napoli in tre anni ha smantellato le organizzazioni criminali piu' pericolose non certo perche' le ha denunciate Saviano, ma perche' ci sono informative di reato e c'e' stato un efficace e profondo lavoro delle forze dell'ordine, dell'intelligence e della magistratura che ha permesso questo risultato. "Gomorra", al contrario di quello che si pensa, e' assolutamente sbilanciato dalla parte della camorra che invece non e' cosi' imbattibile come la dipinge Saviano. Tutto il racconto si dipana infatti senza che alla fine venga detto che il boss Di Lauro e' stato arrestato, che 'Sandokan' Schiavone e' sepolto sotto 200 tonnellate di cemento armato e uscira' dal carcere solamente morto o che il clan dei Casalesi ha avuto confiscati negli ultimi anni beni per centinaia di milioni di euro. Mi domando allora a che serva promuovere, come qualcuno propone, "Gomorra nelle scuole come libro di testo. È per caso un racconto educativo? È solamente un inno alle capacita' economico-imprenditoriali della camorra senza alcun peso e contrappeso". Soprattutto si e' venuta a creare la figura dello scrittore intoccabile, a cui non possono essere mossi appunti e critiche, anzi si e' creato una sorta di ipse dixit intorno a tutto quello che dice Saviano. "Addirittura magistrati validissimi, di prima linea, conoscitori della camorra gli hanno attribuito il merito di aver scoperto i Casalesi, che sono almeno 20 anni che stanno a Caserta - sottolinea Di Meo -. Nessuno evidenzia invece che ci sono state prima di Saviano inchieste monumentali portate avanti da pm coraggiosi, riportate anche dalla stampa locale con grandissimo risalto". Sollevare obiezioni nei confronti di "Gomorra" equivale a prendersi nella migliore delle ipotesi l'accusa di invidiosi, se non quella di essere collusi con la camorra. "Non ritengo giusto che un personaggio come Saviano, che ha copiato per un 50 per cento dagli altri giornali e l'altro 50 per cento se lo e' inventato o ha semplicemente riportato quanto scritto in atti ufficiali pubblici, assurga a testimonial della legalita' nel mondo e ad emblema della lotta alla mafia - continua Di Meo -. Per non dire del fatto che adesso un giornalista o uno scrittore che vogliano parlare di legalita', di tematiche giudiziarie o di cronaca nera sembra quasi che siano obbligati a rifarsi a "Gomorra". Allora chi ha creato o ha spinto questo fenomeno letterario? "Credo che la fortuna di Saviano - risponde Di Meo - sia stata da una parte quella di aver saputo sfruttare la sensibilita' dell'opinione pubblica che in quel momento era attenta a tutto cio' che poteva riguardare il mondo dell'illegalita' e del crimine. E poi una serie di avvenimenti, spontanei o provocati, che hanno innescato un meccanismo di pubblicizzazione internazionale di questo prodotto letterario. Pero' io mi domando: perche' Saviano non e' mai invitato in televisione in un contraddittorio serio con dei cronisti? Perche' gli mettono sempre come spalla dei politici che vivono a Trieste o a Genova e che di camorra hanno letto solo sulla Treccani poco prima di andare in onda? Saviano e' protetto da un cordone sanitario che gli impedisce di confrontarsi con la realta'. Ha sempre rifiutato una pubblica discussione. Due anni fa il sindaco Iervolino in occasione del premio Siani affermo' di trovare paranoico Saviano che vedeva la camorra ovunque. Neppure una settimana dopo l'Espresso fece partire una campagna contro la Iervolino che aveva osato attaccare il giornalista anticamorra eroe dei napoletani. Nelle scorse settimane il ministro Maroni e Giuliano Ferrara che avevano ugualmente mosso qualche appunto nei suoi confronti, sono stati costretti anche loro a fare marcia indietro". Di Meo riferisce di un altro episodio relativo al "mito" letterario venutosi a creare intorno al libro di Saviano. "Ci sono chimici dei clan - spiega - che fanno provare ad assaggiatori ufficiali le dosi di droga prima di immetterle sul mercato. Questa notizia, nota da cinque anni, e' stata ripresa da Saviano. Quando recentemente si e' parlato di nuovo di questo episodio, i giornali hanno citato la vicenda prendendola come e' stata pubblicata in "Gomorra" non come uscita dall'inchiesta antimafia del 2003 che porto' all'arresto di 50 persone. Il libro ha azzerato tutto quanto fatto prima. Una cosa, insomma, diventa vera solo se e' stata citata da "Gomorra. Io invece parto dal presupposto che gli scrittori o i giornalisti non possono sostituirsi alle forze dell'ordine nel contrasto all'illegalita'. Quindi non posso condividere Saviano quando rimarca il valore della 'forza della parola' perche' questa a mio giudizio non puo' competere con la forza di un'indagine, di un arresto, di un'intercettazione o di un blitz". E su Saviano chiamato recentemente alla scuola della Guardia di Finanza per tenere una lezione sul metodo investigativo? "Un episodio che testimonia il livello di lobbying letterario, culturale, commerciale, di marketing che si sta facendo intorno a "Gomorra" - commenta Di Meo -. Non capisco cosa possano imparare da lui i finanzieri che dovrebbero fare indagini di natura patrimoniale sui flussi di denaro. E poi Veltroni che invita Saviano a fare il professore di legalita' alla scuola del Pd. Sicuramente una mossa intelligente dal punto di vista della comunicazione, perche' Saviano e' diventato una star internazionale. Curioso pero' sara' vedere in questa scuola del Pd un professore di economia, che magari ha insegnato nelle piu' prestigiose universita', avere a fianco di Saviano il cui merito maggiore e' stato quello di aver copiato lavori di colleghi giornalisti e atti di inchieste giudiziarie". Nei giorni scorsi e' stato arrestato un attore, il terzo, del film di Matteo Garrone tratto dal libro di Saviano. "Altra vicenda folle - dichiara Di Meo - scoprire che Garrone, un intellettuale ispirato dalle muse artistiche, abbia preso i camorristi di Castel Volturno per fare il film. Pensava forse che il verismo alla Rossellini, alla De Sica o alla Bergman si raggiungesse prendendo i criminali per strada e facendoli recitare? Su questa vicenda si possono fare due ipotesi. O Garrone non sapeva cosa facessero i suoi attori nella vita reale, ma sembra strano che abbia avuto cosi' tanta fortuna nel trovare persone che abbiano ricoperto lo stesso ruolo nella realta' e nella pellicola. Oppure lo sapeva e allora in questo caso avrebbe compiuto, come ha fatto Saviano con il libro, una spettacolarizzazione della camorra dandole una ribalta internazionale dal momento che il film concorrera' agli Oscar con tanto di firma di Martin Scorsese". Cosa chiederebbe Di Meo a Saviano nel caso avesse l'opportunita' di trovarselo di fronte in un dibattito pubblico? "Gli chiederei innanzitutto se si rende conto del meccanismo in cui e' capitato - confida il giornalista -. Ho l'impressione, infatti, e me ne dispiaccio dal punto di vista umano, che Saviano stia diventando vittima dello stesso ingranaggio che ha dato vita al fenomeno "Gomorra". Sin dall'inizio si e' comportato come una personalita', come il punto di rottura rispetto a un vecchio modo di intendere il giornalismo di camorra e la cultura della legalita'. Mi sembra anzi che ultimamente si sia calato nel personaggio anche dal punto di vista fisico, sempre cosi' pensoso e mimico. Adesso su di lui ci sono aspettative enormi, anche perche' dopo "Gomorra" tutti si aspettano cose eclatanti su qualsiasi argomento decidera' di scrivere. E intanto si e' sviluppato un carrozzone gigantesco dietro questo fenomeno, con interessi enormi dal momento che stiamo parlando di un libro che ha venduto un milione e duecentomila copie, tradotto in trenta lingue e di un film che forse vincera' l'Oscar. Si e' venuto a creare uno scenario dove un ragazzo di 29 anni dice alle forze dell'ordine come indagare, ai magistrati se hanno fatto bene o male il loro lavoro, ai colleghi giornalisti che sono collusi con la camorra. Tutta questa macchina gigantesca che si e' generata finisce poi per fare torto allo stesso Saviano al quale almeno un merito va riconosciuto: quello di aver adottato uno stile narrativo vincente e di raccontare la camorra in maniera discorsiva senza note in fondo alla pagina che appesantiscono il testo". (Il Velino) (10 gennaio 2009)





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