RECENSIONI, LIBRI: 'SOLO PER GIUSTIZIA', IL PM-AVVOCATO CHE SCESE DA PIEDISTALLO
Data: Domenica, 04 gennaio @ 17:36:10 CET
Argomento: Cronaca




LIBRI & CRIMINI & GIUSTIZIA
Rubrica a cura di Ferdinando Terlizzi

Raffaele Cantone
Vita di un magistrato contro la camorra
Solo per Giustizia
Mondadori

La cosa che più mi è piaciuta nella lettura del libro di Cantone ( che a differenza di tanti altri dello stesso genere non è noioso ed è anche per questo che regge ancora nella classifica dei più letti ) oltre al suo stile schioccante è la sincerità. Viene fuori il ritratto di un uomo - prima che di un magistrato - che ha amministrato la giustizia con umanità. Che spesso è sceso dal piedistallo sul quale sono collocati quasi tutti i piemme e si è prodigato per dare una mano a persone incappate nelle maglie della giustizia come vittime di soprusi e di abusi.
Prima che scrivesse il libro - attraverso le vicende che raccontavano i giornali - io mi ero fatto una idea di un piemme vendicativo, arrogante, aduso alla prevaricazione e all'arbitrio - la stessa idea che ho di molti pubblici ministeri e di alcuni giudici che vivono solo per l'effetto Barnum. Che partono sempre da "un . approccio accusatorio".
Su Cantone ho dovuto ricredermi. Mano mano che andavo avanti nella lettura, veniva fuori il personaggio uomo, ( vissuto peraltro in un contesto contraddittorio, in zona di camorra e di colletti bianchi: Giugliano, Marano, Villaricca; dominio incontrastato di famiglie mafiose del calibro dei Nuvoletta, dei Mallardo, dei Maisto ). Le pagina del libro fanno ribaltare alla memoria del lettore lo studente modello, il cittadino con senso civico, il buon padre di famiglia, il compagno premuroso per la donna della sua vita, il funzionario comprensivo, umano e disponibile con i suoi collaboratori. Il disagio, che, arreca, purtroppo, anche agli altri, il condizionamento della scorta e le limitate possibilità di portare la moglie ed i figli al teatro, al cinema alla partita del Napoli. Ma una volta lui ci è andato. Con la scorta. E. ha scoperto un "infiltrato" vestito da "imprenditore (tifoso) galantuomo". Non so se quel giorno ha vinto il Napoli. Ma certamente ha vinto il cordone a cui era affidata la sua sicurezza!
E poi la cosa che mi ha gratificato è il modo di come ha "letto" e "interpretato" la famosa istanza ( lui la chiama lettera ma è una istanza dell'avvocato Michele Santonastaso difensori di due boss ) che tanto scalpore ha suscitato e che quasi da tutti è stata interpretata come una minaccia larvata nei confronti dello stesso Cantone, di Saviano e di altri. "Di aver esercitato una pressione negativa sulla Corte". Cantone sa bene che lui non avrebbe potuto mai esercitare una pressione negativa sulla Corte, non essendo stato piemme né nel processo di primo grado celebratosi a Santamaria né a quello di appello in svolgimento all'epoca dei fatti a Napoli. E tutti sanno, compreso Cantone che la Corte non si lascia intimidire né dai roboanti titoli dei giornali né delle scopiazzature di Saviano in Gomorra. Anzi. La Corte, specialmente quella di Santamaria si è lagnata del contrario. Cioè del fatto che è stato dato poco risalto al processo Spartacus, al processo cioè al clan dei casalesi.
Altri, invece, hanno addirittura "letto" nell'istanza di Santonastaso una minaccia del clan dei casalesi ed una imminente azione per eliminare giornalisti e magistrati. Una balla!
Nel suo libro Cantone mette in evidenza anche un'altra cosa. La nostalgia per non aver continuato a fare l'avvocato. Questo è un fatto buono. Perché ti consente di avere una visione di equanimità ( quello che manca spesso al piemme che solo perché ha la funzione di accusare spesso lo fa indiscriminatamente e senza prove. Alcune volte, addirittura, occultando quelle a favore dell'imputato ) di giudicare anche dalla parte dell'accusato.
"Oggi, quando ripenso al periodo trascorso nel suo studio" - scrive Cantone - "lo faccio con un misto di tenerezza e malinconia. Non ho pensato neanche per un momento che i quasi tre anni dedicati alla pratica forense siano stati tempo perso. Credo invece che mi abbiano insegnato molto: mi hanno aiutato a capire quando sia indispensabile tenere sempre conto delle diverse posizioni che si contrappongono in un processo e sono serviti a mettermi in guardia dall'errore di sovrapporre il difensore alla figura del difeso. E poi, non solo mi hanno fatto conservare un atteggiamento rispettoso verso gli avvocati, ma mi hanno anche messo a contatto da subito e da molto più vicino di quanto non possa farlo un magistrato, con quelli che d'ora in avanti avrei trovato dall'altra parte: gli imputati. Facendomi toccare con mano il lato umanamente tragico che si accompagna a molte vicende criminali".

Su giornali e giornalisti Cantone, (che confessa di non aver avuto esperienze significative prima dell'articolo de "Il Mattino" col titolo "Paperone in Comune" che trattava una vicenda da lui condotta ) ha le sue idee precise, anche se debbo dire che è proprio grazie ai giornali e alle giornaliste, che lui è salito alla ribalta della cronaca con titoli roboanti.
"A proposito di questa questione - scrive Cantone nel suo libro - la magistratura si divide in due scuole di pensiero. C'è chi ritiene che con la stampa non si debba mai entrare in contatto diretto per evitare "contaminazioni" e chi come Michele ( Dr. Michele Morello facente funzioni di Procuratore Capo a Napoli all'epoca dei fatti- N.d.R. ) e per il resto della mia carriera pure io - pensa invece che ci sia modo e modo. Bisogna mantenere il senso dell'opportunità e della misura valutando caso per caso, ma negarsi del tutto può essere persino controproducente. I giornali le notizie se le procurano lo stesso, attraverso le forze di polizia o in altro modo, e spesso va a finire che le ottengono confuse o scrivono cose che non dovevano diventare di pubblico dominio. In ogni caso, direi che riferire fatti coperti dal segreto istruttorio o consegnare atti, anche quelli divenuti pubblici, sia qualcosa che un magistrato per nessuna ragione deve fare".
Tra i fatti narrati da Cantone nel suo libro quelli che più mi hanno colpito sono:
1. Il sequestro dei reperti archeologici del Museo Nazionale di Napoli, dove si è appreso, è possibile sottrarre reperti e venderli liberamente ( credo che a Napoli sia quasi normale avendo a che fare con politici e funzionari - come ha detto lo Jervolino - "sfrantummati" ) non essendo gli stessi catalogati.
2. La triste vicenda di quel giovane di Castellammare, morto più per imperizia medica che per l'incidente stradale che lo aveva coinvolto. Come pure ha dei momenti di vibrante umanità la morte "banale" di un uomo della sua scorta. Un fatto davanti al quale si è impotenti "I medici mi dissero che in seguito all'operazione al ginocchio era partito un embolo". Casi in cui ti prende lo sconcerto e nonostante tutto sei fiducioso nei medici che spesso per loro grave colpa uccidono invece di salvare.
3. La vicenda della "rivolta" dei pm contro la gestione di Agostino Cordova. Dopo la firma del documento, Cantone fu sottoposto ad una azione disciplinare per "inosservanze formali" ( ritardo nel dare una notizia a Cordova!). Il ghiaccio che si formò tra i due e l'indifferenza in occasione dell'incontro in ascensore a Roma. Ma non bisogna dimenticare che in quel periodo di lotta a Cordova - giusta o ingiusta che sia stata - uscì il libro di Giorgio Bocca "Napoli siamo noi" e la moglie del procuratore, intervistata da Bocca, con una precisa domanda: "La camorra a Napoli? - Rispose: " I colleghi di mio marito! -
4. La vicenda ( odiosissima ) del volantino minaccioso e diffamatorio trovato nella buca della posta del magistrato per delegittimarlo firmato: "Magistrati combattenti per la costituzione".
"Il testo era spaventoso" - scrive Cantone - "Un congegno osceno orchestrato con dati reali della mia vita e con calunnie gigantesche. Cominciava affermando che ero un magistrato corrotto, come dimostrava il fatto che possedevo un'automobile di lusso di cui era indicata pure la targa. Poi proseguiva con insinuazioni pesantissime sulla mia onestà e soprattutto su quella dei componenti della mia famiglia. Mia moglie, veniva detto pur non possedendo nessun titolo che la qualificasse avrebbe avuto un posto alla Motorizzazione Civile grazie a un intervento da parte mia, avendo io in cambio insabbiato un'indagine proprio su quell'Ente".
Il volantino accusava il fratello ( commercialista) di organizzare truffe alle assicurazioni. Addirittura uno zio omonimo di un capo clan fatto passare per suo parente. Per fortuna erano tutte accuse false ( ma Cantone ha dovuto difendersi da un processo ) -
5) La vicenda di quel "Don Abbondio", presentatosi su segnalazione di un prete suo amico, con il semplice "clergyman" che andò a raccomandargli di far scarcerare il cognato del capo dei casalesi, arrestato perché portava ordini di morte per conto del clan. La ragione? La moglie ( sorella del boss) aveva un bambino piccolo e bisognevole di cure che sarebbe rimasto senza il necessario. E Cantone rispose: "Poteva pensarci prima.".
6) La gestione dei pentiti con i pro e i contro e l'imput che può dare il pm attraverso gli interrogatori ( proprio a quello che alludeva l'avvocato Santonastaso nel processo d'appello Spartacus ). E sinceramente sono rimasto contento di leggere da un piemme del suo calibro che la cosa non è né facile né semplice e che vi sono insidie e trabocchetti che spesso i pentiti ( veri o falsi che siano ) tendono alla giustizia. Cantone in proposito scrive:
"Uno dei primi problemi nasce dal fatto che, una volta deciso di imboccare quella strada, il collaboratore sa benissimo quanto la sua stessa vita futura dipenda dalla credibilità che riesce ad acquisire presso il pubblico ministero a cui si affida. Dato questo rapporto di dipendenza, il collaboratore, può, in certi casi, essere portato ad assecondare la linea delle indagini della Procura ( il che non significa necessariamente che dica cose non vere). Poi non si può escludere che pentiti, soprattutto "grossi" usino la collaborazione come lo strumento più idoneo per limitare il danno della loro sconfitta. Concedono informazioni ormai non più necessarie su passate attività, principalmente criminali, e invece ne trattengono altre di natura quasi sempre patrimoniale ed economica su cui hanno tutto l'interesse a continuare a stare zitti. Ascoltando queste persone raccontare con dovizia di particolari tutti gli omicidi che hanno commissionato o commesso, non solo risulta evidente che di vero pentimento ce n'è ben poco, ma addirittura emerge che traggono compiacimento dall'impressionare il pm con dettagli raccapriccianti".
7) Il caso dell'edicolante assassinato a Sessa Aurunca dal clan Esposito ( il boss è all'ergastolo anche per questo delitto ) trattato ampiamente anche dal collega Raffaele Sardo ( Repubblica) e immortalato nel suo bel libro "La Bestia" con una lodevole prefazione di Roberto Saviano.
8) La collaborazione e la difficile gestione del pentito La Torre; la conoscenza - indiretta- prima del libro e poi di Saviano ed infine i ringraziamenti (doverosi) agli uomini, ai prefetti, ai carabinieri, alla polizia e alla finanza per la sua scorta.
Possa così chiosare a parer mio questa recensione. Victor Hugo ha detto:" Gratta la crosta del giudice e vedrai che uscirà il boia". Ho grattato - attraverso la lettura del suo libro - e sotto la crosta di Cantone è uscito un uomo: umano, passionale e attaccato al suo lavoro.

(4 gennaio 2009)




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