PENTITO SCRISSE 'CAMORRISTI BUFFONI': GLI UCCIDONO PADRE
Data: Venerdì, 02 maggio @ 15:16:16 CEST
Argomento: Cronaca


Alcuni giorni fa in una lettera scrisse che i camorristi sono tutti buffoni: oggi hanno ucciso suo padre. Lui, Domenico Bidognetti, pentito, è il cugino di Francesco Bidognetti, ex braccio destro di Sandonkan, nei confronti dei quali anche due amanti pentite, hanno mosso dichiarazioni accusatorie. Di seguito un articolo di Raffaele Sardo tratto da La Repubblica



Un ex boss di Casal di Principe scrive ai ragazzi del suo paese. Il pentito Bidognetti li incita: denunciate la camorra. «Sono Domenico Bidognetti, un vostro compaesano che si è pentito di tutto ciò che ho fatto in venti anni trascorse nell´illegalità, nel clan dei Casalesi che non è altro che una ragnatela per accaparrarsi la vita degli altri in modo che la loro diventi longeva». Comincia così la lettera che il pentito Domenico Bidognetti, cugino del boss Francesco Bidognetti ha inviato alle centinaia di studenti che ieri mattina erano riuniti nella chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, per ricordare la figura di don Giuseppe Diana, il prete ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994. Una lettera di 4 pagine, scritte a mano, in un italiano incerto, che Bidognetti ha spedito al pm Giovanni Conzo. A leggere la missiva è stato Valerio Taglione, portavoce del Comitato don Peppe Diana. Nel presentarla, il giudice Conzo ha ricordato che il pentito si è autoaccusato di molti omicidi. «I mafiosi del nostro paese - ha scritto Bidognetti - solo questo sanno fare e cioè: minacciare le persone buone, brave, oneste. Ma vi posso assicurare che loro, i mafiosi, sono solo dei buffoni quando nessuno li denuncia». Nella lettera Bidognetti racconta anche come ha cominciato a frequentare gli ambienti criminali. «Non ero nato per fare ciò che ho fatto, quello che ho commesso, il male, il terrore. Io sono nato in una onesta famiglia di lavoratori come tutte le vostre famiglie. Ma è successo che durante il percorso della mia vita, esattamente quando avevo ventidue anni, ho iniziato a frequentare i miei ex amici. Dico ex, perché ho cambiato percorso di vita e di fede. Ho iniziato a credere in Dio. E questo mi ha aiutato anche ad avvicinarmi alla legalità. La goccia che fece traboccare il vaso fu quando mia figlia, la luce dei miei occhi, mi disse che si doveva fare incidere sul polsino della camicia le mie iniziali, del mio nome e cognome. A mia domanda rispose: “Perché così quando vado a pagare alla cassa vedono le iniziali tue e non si prendono i soldi”. A me in quel momento cadde il mondo addosso. Volevo morire. Perché io a i miei figli gli avevo insegnato sempre la strada della legalità. La mia paura era proprio quella che un domani i miei figli potessero seguire le mie orme». Le parole che Valerio Taglione ha scandito lentamente dal microfono hanno colpito profondamente i ragazzi. Attenti alla lettura. «Casal di Principe - aveva detto poco prima una studentessa del liceo scientifico di San Cipriano D´Aversa - non può essere sempre e solo ricordata come il paese della camorra, ma deve essere il paese di don Diana». Nelle sue 4 pagine il pentito chiede: «Chiedo scusa non solo alle persone a cui ho fatto del male, ma anche ai loro cari e a tutti voi del mio paese, alla comunità delle persone che lavorano onestamente». «La legalità - conclude Bidognetti - è la cosa più bella del mondo e non vorrei che voi, figli di questa terra, ve ne accorgeste a 42 anni, come ho fatto io. Voi dovete combattere per difendere la vostra terra, per il vostro futuro e quello dei vostri figli. Per la libertà di tutti, per pulire il paese da questo cancro. Non permettete più a nessuno di appropriarsi delle cose degli altri senza averne diritto. Non dovete avere paura di denunciare». (Aprile 2008)





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