L'ESPRESSO: PER GIORGIO BOCCA, POLITICI TIEPIDI SU OFFESE BOSS
Data: Giovedì, 27 marzo @ 01:26:21 CET
Argomento: Cronaca


da L'Espresso del 26 marzo 2008



Silenzio su Gomorra
Di GIORGIO BOCCA

Le minacce dei boss in tribunale contro il pm, Saviano e una cronista sono una dichiarazione di guerra. Ma dai politici solo tiepide reazioni Il fatto: alla Corte d'Assise di Napoli il difensore di due camorristi presenta un'istanza di legittima suspicione perché lo scrittore Roberto Saviano, la giornalista Rosaria Capocchione del 'Mattino' e il magistrato dell'antimafia Raffaele Cantone (il primo con il libro 'Gomorra', l'inchiesta sull'associazione mafiosa, la seconda per gli articoli sul 'Mattino' di Napoli, il terzo per la sua attività all'antimafia) avrebbero influenzato la corte. L'istanza è firmata da due camorristi di Casal di Principe, i cosiddetti casalesi, ed è irridente e minacciosa. Saviano è chiamato il "presunto romanziere", per dire che ha inventato favole, la Capocchione "pennivendola", entrambi d'accordo con il magistrato "calunniatore". I firmatari sono: il camorrista Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, latitante da 12 anni, entrambi già condannati in primo grado all'ergastolo. E Antonio Iovine è considerato l'organizzatore del traffico di rifiuti della Campania. Ci si chiede: perché i camorristi di Casal di Principe ostentano una tale arroganza verso i giornalisti e i giudici? E perché una tale arrogante provocazione passa quasi sotto il silenzio dei politici e dei media? L'arroganza è una tradizione dei camorristi di Casal di Principe e del loro leggendario capo dal nome salgariano di Sandokan: grande bandito che insultava, minacciava, taglieggiava i suoi impauriti concittadini. La scarsa attenzione dei politici e dei media si può spiegare con la vigilia elettorale, con la vecchia regola dei politici di 'non parlar di corda in casa dell'impiccato', qui del sistema mafioso che si è allargato dalla Sicilia all'intero Meridione ed è risalito al Veneto e alla Lombardia. Un argomento scomodo, l'inchiesta di Saviano nel libro 'Gomorra'. Per toglierselo dai piedi le nostre autorità volevano relegarlo in una 'località protetta', cioè all'Asinara, dove erano stati reclusi i brigatisti rossi; ora Saviano, cui va la mia piena solidarietà e quella dei giornalisti de 'L'espresso', vive chiuso in casa e ha una scorta dei carabinieri. Di solito le istanze per la legittima suspicione vengono depositate agli atti senza darne lettura. Ma in questo caso l'avvocato difensore ha potuto leggerla in aula: 60 pagine di insulti e minacce, senza che nessuno dei magistrati presenti reagisse; non era mai accaduto nulla del genere. La richiesta di legittima suspicione ricorda le dichiarazioni di guerra allo Stato da parte dei corleonesi quando passarono all'uccisione di magistrati e poliziotti. Silenzio dei leader moderati, un breve comunicato Ansa di Veltroni e Bertinotti, una telefonata di Napolitano al direttore del 'Mattino': "Esageruma nen", come diceva Norberto Bobbio.

Un attacco alla democrazia
di Paolo Biondani

Il giudizio dell'ex procuratore antimafia Vigna: 'Le Br in aula si facevano tacere' Piero Luigi Vigna, l'ex procuratore nazionale antimafia, giudica "estremamente grave" la nuova e "raffinatissima" campagna intimidatoria lanciata da due boss della camorra casertana contro il pm Raffaele Cantone, lo scrittore Roberto Saviano e la cronista giudiziaria del 'Mattino' Rosaria Capacchione. Vigna è stato uno dei primi magistrati a svelare il pauroso livello di potere raggiunto dai clan campani: già 25 anni fa, quando era procuratore a Firenze, l'inchiesta sulla strage del treno di Natale (23 dicembre 1984, 16 morti e 267 feriti) l'aveva portato a indagare sulle trame più segrete del 'terrorismo mafioso'. E un qualcosa di eversivo, "forse il primo segnale di un nuovo attacco alla nostra democrazia e alla nostra economia", Vigna lo vede riemergere in quelle 60 pagine di veleni contro la giustizia e l'informazione che due capi assoluti del potentissimo clan dei casalesi, Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, sono riusciti addirittura a far leggere in aula, durante il processo d'appello che potrebbe portare alla conferma delle loro condanne all'ergastolo. Cominciamo da qui, dottor Vigna: non era mai successo che due presunti boss della camorra, condannati in primo grado per mafia e omicidi, oltre che inquisiti come padrini del traffico di rifiuti, riuscissero a pubblicizzare, davanti a una Corte d'assise d'appello, un documento che calunnia e minaccia tre figure simbolo della lotta alla mafia sul loro territorio. "Il clan dei casalesi è da molti anni l'organizzazione, anzi l'alleanza tra gruppi criminali, più forte e coesa. Con questo attacco pubblico è chiaro che quei boss si sono fatti portavoce di tutti i numerosissimi clan - se ne contano circa 300 - che non sopportano più di vedere confermati, con le condanne e i sequestri di beni, i risultati delle indagini che mettono in discussione il loro potere economico. Attaccare in aula i nemici della camorra significa riaffermare la propria supremazia territoriale. Ma è sicuramente plausibile, purtroppo, anche l'ipotesi peggiore: un via libera a possibili attentati eccellenti, soprattutto se i giudici e i giurati popolari confermeranno le condanne". Gli insulti e le calunnie contro il magistrato e gli "pseudogiornalisti prezzolati dalla Procura" sono senza precedenti anche nella forma: una richiesta di spostare il processo in base alla legge Cirami, firmata personalmente dai due presunti boss e letta in aula dal loro avvocato. Finora, anche nei casi più famosi (processi a Previti e Berlusconi a Milano), le istanze erano state solo depositate. Ma ora c'è un documento chiaramente intimidatorio, con tanto di "invito al signor Saviano e ad altri come lui a fare bene il proprio lavoro", che entra nel processo senza che nessun magistrato fermi il proclama camorrista. "Beh, ai tempi del terrorismo politico, quando i brigatisti cercavano di leggere le loro rivendicazioni, i giudici sono sempre intervenuti per impedirlo, per bloccare sul nascere qualsiasi accenno di apologia dei reati o di minaccia agli inquirenti. Sul caso di Napoli non mi pronuncio. Forse ha pesato il fatto che il documento non si presentasse come una plateale rivendicazione di delitti: era un'intimidazione più indiretta, più raffinata, presentata sotto la veste giuridica di un'istanza di per sé legittima. Detto questo, il contenuto minatorio a me sembra vistoso". Il procuratore generale di Napoli ha aperto un fascicolo che ipotizza una "strategia camorristica" e a questo punto non nasconde di temere azioni clamorose. Secondo la sua esperienza, chi rischia di più? "Di solito il primo nemico è il pm. E solo di riflesso il cronista giudiziario. Ho letto però che il collega Cantone non aveva istruito quel processo e da qualche mese non fa più il pm. Anche per questo penso che il vero obiettivo sia Saviano. Un libro come 'Gomorra' ha rivelato, direi quasi scoperto, la vastità del potere economico della camorra. Oltre a smascherarne gli interessi, l'opera di Saviano ha colpito l'immagine dei boss e il loro consenso nell'ambiente sociale, che è una forma di controllo del territorio. Per il clan dei casalesi è un danno enorme". Questa storia di intimidazioni camorriste in un'aula di giustizia è piena di singolarissime coincidenze. Per dirne una: proprio quel giorno il 'Corriere' pubblicava l'intervista di Saviano con la denuncia che "la lotta alla mafia è la grande assente di questa campagna elettorale". "Il silenzio della politica sull'emergenza delle mafie è davvero assordante. Mentre le regioni del Sud raccolgono solo il 4 per cento degli investimenti stranieri, gli economisti stimano che la criminalità organizzata produca ricavi per 100 miliardi di euro all'anno. E questa massa imponente di denaro sporco crea imprese mafiose che fanno concorrenza sleale e prevalgono sulle aziende pulite: i boss e i loro prestanome non hanno bisogno di crediti bancari e possono ritardare i pagamenti, escludere il sindacato, tagliare i salari, far lavorare in nero, imporre contratti. Al di là di estorsioni, omicidi e attentati, almeno quattro regioni sono strangolate da un'intimidazione economica generale. Eppure i politici che parlano di mafia sono pochi e isolati. I segnali di risveglio ci sono, almeno in una parte della Sicilia, ma nessun partito mette la lotta alla mafia al centro della campagna elettorale. Mah... Forse pensano che si debbano prendere voti anche lì".





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