MAXI-PROCESSO AIMA: CHI RIPAGHERA' GLI INNOCENTI CHE HANNO PERSO TUTTO?
Data: Domenica, 21 dicembre @ 16:30:35 CET
Argomento: Cittadini e Giustizia


Chi ridarà la dignità ad un professionista distrutto? Si poteva evitare l’arresto? Parla uno dei protagonisti della vicenda Aima, il giornalista Ferdinando Terlizzi



Vengono nel cuore della notte, alla tre. Ti mettono a soqquadro l’abitazione. Spavaldi e ciarlieri, spaventano tutti i famiLiari. Alcuni rimarranno traumatizzati per tutta la vita. Rivoltano la tua casa come un calzino (nelle celle si chiama la sforbiciata), mandando per aria non solo gli effetti personali. Cancellano in poche ore la tua vita sociale, la tua professionalità, i tuoi affetti, e dal qual momento cominci a scendere nella putredine. Non importa che hai il porto d’armi di pistola, il passaporto, sei cronista giudiziario (all’epoca ero cronista del “Corriere del Mezzogiorno”, l’inserto del “Corriere della Sera,”, direttore di “New Antenna Sud”, di “Detective&Crime”, di “Mediapress”), loro sono convinti che tu sei colpevole, perché ha parlato l’oracolo (nel mio caso Pasquale Pirolo). Ma cosa cercavano nella mia abitazione? Nella circostanza sequestrarono tutte le foto che mi ritraevano assieme ai politici. Presunzione di innocenza? Se ne fottono! Io non ero in casa – mi diedi alla macchia – (altrimenti che cronista giudiziario sarei stato?). Mi ricordai la famosa frase di Salvemini: ”se mi dovessero accusare di aver violentato la madonnina del Duomo di Milano, non mi difendo, scappo all’estero”. E così feci. Lessi attentamente le 1500 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare: un vero e proprio teorema, fondato sull’aria fritta. “Lui non poteva non sapere”, etc.etc.” Subito capiì che mi avevano incastrato perché avevo scritto, nel 1996, alcuni articoli contro un pubblico ministero. L’accusa? Tutta inventata. Addirittura ridicola: fui definito "un interno del clan dei casalesi, il contabile dei centri di scamazzo, amministratore di fatto della Sam (Unicoop), che aveva truffato l’Aima, per conto della camorra”. Il teorema era stato bene architettato dalla Guardia di Finanza, che mi aveva “dipinto” come la memoria storica di tutte le nefandezze che erano state perpetrate nel triangolo “Carinola-Teano- Sessa Aurunca”. Del resto le fiamme gialle non sono nuove a teoremi del genere. In un recente rapporto hanno scritto, parlando di un imprenditore che andava necessariamente messo in cattiva luce: ”il tizio è da ritenersi molto vicino al clan dei casalesi, perché ha celebrato la festa del suo matrimonio, in una villa, il cui custode è il suocero, del cognato, del fratello di Sandokan”. Di questo passo, tra non molto, si potrà essere arrestati per “violenza sessuale” su se stessi, solo per avere il culto di Onan. E dopo alcuni giorni di latitanza (il mio difensore, l’avvocato Giuseppe Garofalo, tramite mio figlio, mi fece sapere che se non mi fossi costituito il Riesame non avrebbe mai fissato l’udienza per la revoca dell’ordinanza), mi feci “catturare” in un albergo a 5 stelle, come i grandi boss. E scendendo ancora più sotto della putredine finii in quella che viene definita la “latrina” d’italia, nel Padiglione Genova di Poggioreale. Compagni di cella, Ciro Formicola, boss di Portici, accusato di essere il mandante di vari omicidi e Peppe Zofra, accusato di essere il boss di Pozzuoli. Che importanza aveva se io non ero mai stato in galera? Del resto, il carcere, non è scuola di vita? Erano le 14 del 12 luglio del 1998, il Tg3 parlò di me: ”Preso a Frosinone il braccio destro di Sandokan”. Poca importava se io Sandokan non l’ho mai conosciuto.In sede di Riesame subito fui scagionato dal tribunale della Libertà per il 416 bis, ma rimasi in carcere per la truffa, passando, però, al Padiglione Salerno. Con l’incidente probatorio fui addirittura assolto dall’accusa di interno della camorra. Ieri la fine di un incubo. Mi sia consentita una riflessione: ”Con quello che ho perso, con quello che ho sofferto, con quello che mi hanno fatto, l’assoluzione me la sbatto a quel posto”.





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