INFORMAZIONE: FRANCESCA DE CAROLIS, UNA SAMMARITANA DIETRO IL TG1
Data: Domenica, 06 maggio @ 19:27:47 CEST
Argomento: Giornali e Giornalisti




Caserta (di Michele De Simone) - Francesca de Carolis, una giornalista casertana dietro le quinte del Tg1. Nel ruolo di vicecaporedattore il suo lavoro di «macchina» è essenziale perchè chi va in video trovi i ritmi e le notizie giuste, miscelate alle immagini, per tener viva l’attenzione dei telespettatori. Laureata in scienze politiche all’università di Napoli con una tesi in diritto internazionale con il professor Giuseppe Tesauro, Francesca de Carolis (classe 1956) nel 1980 vince una borsa di studio per l’avviamento alla professione giornalistica, uno dei primi concorsi (forse il primo) indetto dalla Rai insieme alla Fieg. E a Roma inizia a collaborare con il Messaggero e con Il Mattino (dalla redazione romana, allora guidata da Ciro Paglia, scrive per la pagina della cultura, attualità e politica scolastica). È di quel periodo il primo libro, un romanzo breve: «I giochi della cometa», racconto ambientato nella Roma della metà del ’400, ispirato forse dalla vecchia casa di Trastevere nella quale allora abitava. Nell’87 arriva l’assunzione in Rai, e viene spedita a Palermo. Dura solo un anno la trasferta nell’isola, ma quell’esperienza la lega moltissimo alla Sicilia («siciliani sono ancora alcuni dei miei più cari amici») e dalle impressioni raccolte in quel periodo nasce il secondo libro, altro romanzo breve, ambientato appunto in Sicilia: «Maritè», edito da Vallecchi. Rientrata a Roma, in Rai nella redazione cronaca del TG1, con la stagione dei «professori» viene nominata vice caporedattore per la redazione Società. In seguito la scelta di occuparsi della «macchina» del giornale, attraverso il coordinamento delle edizioni dei notiziari al TG1. «Un impegno -ricorda la De Carolis- interrotto per una trasmissione di rete: ”Prima”, nel ’98/’99, e in seguito per un programma di Rai Tre: “Piazzale degli eroi”». «L’informazione: questione complessa e molto delicata -sottolinea la giornalista Rai- soprattutto dal punto di vista di chi, come me, lavora nel servizio pubblico. A parte le complicate questioni generali di questo momento, il problema che io avverto più ”pesante” nell’azienda di servizio pubblico, è la presenza ossessivamente invasiva della politica, sia nel controllo della gestione aziendale, sia nella rappresentazione di se stessa che dà (e che noi le diamo) negli spazi di comunicazione. Troppi condizionamenti e troppa autoreferenzialità e questo non serve, a mio parere, a raccontare e spiegare davvero quel che accade. Anzi, a mio parere, lo confonde e isterilisce. Ma credo che questo dell’occupazione da parte della politica, anzi meglio dei partiti, degli spazi della vita pubblica, purtroppo sia un problema più generale italiano». «Per quanto riguarda la televisione -prosegue la sua analisi- esiste una questione generale che interessa tutto il mondo della tv. Proprio nei giorni scorsi leggevo le parole di Don Ciotti ad un recente incontro sulla mafia. ”...e ci si mette anche la Tv, dice don Ciotti, presentando falsi orizzonti culturali fatti di potere, bellezza ad oltranza e denaro... Messaggi che sono spesso racchiusi in trasmissioni e pubblicità, una droga che entra nella nostre case ogni giorno, verso la quale dobbiamo ribellarci”». «Non bisogna generalizzare -aggiunge de Carolis-, ma ritornando alla Rai in particolare, questa a tratti sembra perdere di vista la missione di servizio pubblico. La Rai è stata una grande azienda culturale (io appartengo a quella generazione che in buona misura si è formata sui suoi programmi; i primi testi teatrali li ho visti, e amati, rappresentati in televisione), ma oggi troppo raramente è possibile vedere, ad esempio, trasmissioni di approfondimento in prima serata. Gli speciali del Tg1, per parlare ”d’interessi privati”, vanno in onda dopo le 23. Mi capita di riuscire a vedere i bellissimi documentari e le inchieste di Minoli (che è il genere che preferisco) solo quando sono costretta a restare sveglia per turni di lavoro notturni». «Su un piano meno macroscopico, c’è un’altra questione sulla quale spesso mi interrogo -confessa-. L’uso delle parole. Può sembrare cosa piccola, ma non penso si tratti di dettagli così trascurabli. Le parole non sono poca cosa. Sanno penetrare a fondo. Attraverso loro, anche senza volerlo, rischiamo di iniettare veleni. Un esempio che può sembrare banale, ma quante volte si sente una notizia tipo: ”un rumeno ubriaco investe e uccide una donna”. Capita mai di sentire: ”Un italiano o un bresciano o un biellese… ubriaco investe e uccide una donna?”. Una qualifica di appartenenza ”etnica” che inchioda e che troppo spesso ci sfugge (va quasi in automatico per albanesi, zingari e napoletani). Le parole non sono poca cosa. È una questione sulla quale mi arrovello spesso e non è problema lieve, passando gran parte della giornata in luoghi dove si producono parole che diventano pubbliche. Per questo ogni tanto mi esercito sui miei appunti di parole private». Non viaggiando più per lavoro, Francesca de Carolis quando può cerca di fare qualche puntatina all’estero, assecondata molto in questo, quando non spinta, dall’attuale marito Mario Spada che è architetto. Da uno di questi tour è nato un diario: «India, appunti di viaggio», premiato dalla giuria dei ragazzi del premio «Albatros» organizzato a Palestrina («e mi è piaciuto molto il fatto di avere interessato delle persone molto giovani»). Anche se non è una specialista delle nuove tecnologie, lo scorso anno un pò per gioco ha partecipato con un racconto e vinto un premio alla rassegna «Racconti nella rete», un’iniziativa nata a Lucca, molto interessante. Di recente è tornata alla narrativa con un volume (edizione Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri) dedicato alla storia del pianista jazz Luca Flores, raccontata grazie alla testimoniana della sua compagna, la cantante Michelle Bobko. Il libro è intitolato «Angela, angelo, angelo mio, io non sapevo», cui è allegato il cd «Omaggio a Luca Flores», che riproduce un concerto di tre anni fa. Alla storia dell’artista toscano, suicidatosi a 39 anni dodici anni fa, il sindaco di Roma Walter Veltroni dedicò il libro «Il disco del mondo», da cui poi è stato tratto il film interpretato da Kim Rossi Stuart. Due matrimoni, nessun figlio, molte piante, molti gatti, Francesca de Carolis è da qualche tempo vegetariana, anche se non ancora rigorosissima. Da più di venti anni usa sempre la stessa automobile (una Renault rossa), ma preferisce spostarsi a piedi e con i mezzi pubblici, tanto da essere titolare di un abbonamento «intera rete» nella capitale. «Guardare la gente è una delle cose preferite -spiega-. Una vita sempre in corsa, anche se, sostanzialmente, sono molto pigra. Una mia amica mi ha definito ”nomade stanziale”». A Roma abita nella zona di San Giovanni in una di quelle case costruite negli anni ’20/’30, intorno a un cortile con un giardino. «Nel salotto -svela Francesca de Carolis- ci sono due quadri dei miei bisnonni. Sono i ritratti dei primi de Carolis che hanno abitato nel palazzo di Santa Maria Capua Vetere fra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento: Agostino de Carolis e la moglie Giuseppina. Due ritratti d’epoca ai quali sono molto affezionata. Lui poggia la mano su un codice (era avvocato), lei ha in mano una piccola rosa bianca. Qualche anno fa ho fatto restaurare i due ritratti, e adesso nel mio salotto, uno di fronte all’altro, continuano a guardarsi. E sul balcone, fra le altre piante, un gelsomino, che mi ricorda quello che zia Carla aveva sul balcone nel palazzo al corso Umberto I a Santa Maria Capua Vetere...». (da Il Mattino di Domenica 6 maggio 2007)

Nipote di Ugo De Carolis

Francesca de Carolis è nata a Santa Maria Capua Vetere nel 1956, dove è vissuta con il papà Enrico e la mamma Alessandra, originaria di Sondrio, fino alla soglia degli anni ’80. «Un periodo breve -ricorda Francesca-, ma denso di ricordi e ”segni”. Intanto il palazzo di famiglia dove sono nata, nell’allora Corso Umberto I, con il suo stemma sul frontone del portone, e dei simboli che trovavo curiosi: una spiga di grano e un piccolo uccello (una papera? mi chiedevo). Lì abitavano anche le sorelle di mio padre, zia Carla (che non c’è più) e zia Rita, con le famiglie e tutti i cugini, una casa ”piena” come non si usa più. Ma che è rimasta la stessa: non ci tornavo da tempo, ma lo scorso anno l’ho trovata ancora affollata di bambini, i figli dei miei cugini». «Una occasione -prosegue- per rituffarmi nel passato, che torna spesso con il nome di Ugo de Carolis, il maggiore dei carabinieri trucidato dai nazisti alle Fosse Ardeatine (medaglia d’oro al valore militare). Anche a Roma c’è una strada che porta il suo nome. Era cugino di nonno Bonaventura, come cugino del nonno era, da altro ramo, anche il generale Ugo de Carolis (di Capua) morto nel ’43 nella battaglia sul Don». «In internet -conclude- ho scoperto Maria Antonietta de Carolis, sorella del generale, di cui, da bambina, mi parlava zia Carla: una poetessa, raccontava». Le elementari al principe di Piemonte («Letizia, compagna di banco, l’ho rivista sporadicamente, e da anni non la sento più»); poi il trasferimento a Caserta. Il ginnasio e il liceo al Giannone («indimenticabili i professori delle materie preferite: italiano, Antonio De Vingolis, e latino e greco, Giuseppe Caiati. Uno magro ed elegante, l’altro più ”solido” e dall’aria sorniona. Due stili diversi, ma seguivo entrambi con piacere»). «Dei compagni di allora -dice Francesca- mi vengono in mente Anna Maria Di Forte, compagna di banco al liceo, e ancora Patrizia Riccio Cobucci e Maria Rosaria Discanno. E poi Luigi Porrino e Gaetano De Biase che sedevano nel banco dinanzi a me. Uscivo spesso anche con due compagni della classe vicina Antonio Cerreto e Loreto Severino. Al tempo dell’università ho studiato con Anna Giunta. I ricordi più simpatici? quelli legati alle ”fughe” da scuola (quante città hanno un parco reale per nascondersi?), i pomeriggi nelle cantine ad ascoltare i primi complessi (Bruno Coppo tentò, invano, di insegnarmi un passo di rock), i libri in prestito all’Enaip». A Caserta abita uno dei fratelli, Pino con la moglie Daniela e i figli Enrico e Alessandro: consulente informatico, si occupa di gestione aziendale. L’altro Bonaventura, a lungo all’estero, lavora a Roma in regie documentaristiche ed è esperto di convergenze digitali, televisione interattiva e multimedialità.





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