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CASO SAVIANO: DAL 'BARBIERE' APPELLO AI NUOVI PROFESSIONISTI DELL'ANTIMAFIA


(di Simone Di Meo, giornalista) - Credo che tutti dovremmo riconoscere a Leonardo Sciascia la capacità di aver intuito prima degli altri quali e quante potenzialità si nascondano dietro il professionismo dell’Antimafia. Tanto più dopo gli ultimi avvenimenti che vedono al centro delle cronache letterarie “Gomorra”, il libro edito da Mondadori e scritto da Roberto Saviano. Non vorrei dilungarmi troppo su giudizi o valutazioni di merito sul testo, perché si entrerebbe nel terreno accidentato dell’estetica e si sa che il bello è soggettivo. Vorrei, però, invitare a una riflessione che nasce dallo stupore di aver assistito a tante scene grottesche, in cui incauti politici a caccia di titoli sui quotidiani e sociologi della domenica hanno salutato “Gomorra” come il libro che finalmente potrà far svegliare il popolo napoletano dalla pastosa sonnolenza del riscatto civile e il suo autore come il paladino della legalità. Perdonatemi, ma non posso fare a meno di pensare che il marketing della Mondadori sia stato così ben orchestrato da sviluppare un’atmosfera (fintamente) salvifica attorno a problemi drammatici per soli scopi commerciali. I politici e i sociologi che fanno a gara a recitare a memoria brani del libro e ad organizzare sedute di letture pubbliche – come se, così facendo, un superlatitante come Eduardo Contini esclamasse: “Oh, cazzo: stavolta fanno sul serio la lotta alla camorra. Stanno leggendo il libro di Saviano…” – dovrebbero prestare un po’ più di attenzione nei confronti del giornalismo partenopeo, visto che le cose scritte da Saviano si ritrovano pari pari in numerosi articoli e reportage pubblicati dai quotidiani cittadini e visto che il giornalismo d’inchiesta sulla criminalità organizzata esisteva ben prima della pubblicazione di “Gomorra”. Perché nessuno dei nuovi professionisti dell’Antimafia – dai consulenti istituzionali ai consiglieri regionali, comunali e provinciali, dai rappresentanti del mondo dell’associazionismo ai mafiologi della prima ora – non ha sentito il dovere di mettere in risalto l’impegno civile di chi, prima di Saviano, ha rischiato a parlare di camorra? Perché i nuovi professionisti dell’Antimafia non ringraziano per il coraggioso lavoro che svolgono, giorno dopo giorno, in silenzio e senza le pagine patinate dell’Espresso, colleghi come Giovanni Virnicchi, che ha pubblicato su “Cronache di Napoli” un’intervista al padrino dei Quartieri Spagnoli poco prima che esplodesse una nuova guerra di camorra, come Maurizio Cerino, che sotto scorta c’è stato davvero quando ha lavorato a un’inchiesta sull’omicidio di Giancarlo Siani, come Gigi Di Fiore, che sul “Mattino” ha pubblicato un’intervista al boss del contrabbando internazionale Gerardo Cuomo quand’era ricercato dalla magistratura italiana, come Leandro Del Gaudio, il primo a intervistare il boss della Sanità Giuseppe Misso in occasione della pubblicazione del suo libro “I leoni di marmo”, come Luigi Sannino, Giovanni Cosmo, Renato Rocco, o ancora come Giuseppe Crimaldi, Elio Scribani, Gianluca Mancuso, Giuseppe Porzio, Conchita Sannino, Enzo Ciaccio, Roberto Paolo, il primo a scrivere dell’indagine sulle presunte amicizie pericolose che vedeva coinvolto il procuratore aggiunto Paolo Mancuso, Dario Del Porto, Antonio Salvati, Giancarlo Palombi, Giovanni Marino, Gianluca Abate, Gennaro Scala, Irene De Arcangelis, Giuseppe Messina, Diana Cataldo e Viviana Lanza, Fabio Postiglione e Silvia Petrella? E chissà quanti ne dimentico, di sicuro. Per ultimo inserisco anche me stesso, visto che il buon Saviano – pur ricopiando un mio vecchio articolo sui punti della pace tra Di Lauro e scissionisti, dopo la faida di Secondigliano, e non solo quello – è stato così sbadato da dimenticare di attribuirmene la paternità. A tutti questi giornalisti, i nuovi professionisti dell’Antimafia dovrebbero un po’ più di rispetto. (intervento prelevato dal BarbieredellaSera 3 dicembre 2006-11:42) Simone Di Meo

 
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