Quattro stanze aperte: la scenografia di Stazioni lunari, ieri al teatro della Torre, è l’immagine della trentaseiesima edizione di Settembre al borgo. Quattro stanze ideali, senza pareti, dalle quali ognuno può guardare cosa succede accanto; può uscire per interagire e scoprire l’altro. La musica non costruisce muri né differenze, neanche quando si trovano fianco a fianco generazioni e stili apparentemente contrastanti. La musica, anzi (e la serata di ieri lo dimostra), può stupire e far succedere, a volte, cose che non potremmo mai aspettarci.
Stazioni lunari nasce da un’idea di Francesco Magnelli (fondatore dei C.S.I. e PGR). Lui, che ha curato gli arrangiamenti, è alle tastiere al centro della scena, fa gli onori di casa e scherza con gli artisti che, intanto, scherzano anche tra loro. “Stazioni lunari – spiega – nasce per mettersi in gioco, per nutrire la curiosità, è un ristoro artistico. E’ il luogo perfetto per fermarsi un po’ e poi ripartire, portando con sé qualche esperienza in più”.
A mescolarsi sul palco, senza mai sovrapporsi né stridere, le esperienze e le sonorità di Teresa De Sio, Francesco Di Bella, Cristiano Godano e Morgan. Tocca al giovane leader dei 24 grana (entrato nella formazione all’ultimo momento al posto di Daniele Sepe) aprire la serata con un battito napoletano che subito conquista il pubblico. Per lui Settembre al borgo è un modo per uscire dai confini di un ambiente reggae-rock e conquistare la platea variegata del festival. Casertavecchia trentasei, infatti, è una rassegna trasversale che, già nell’unicità degli spettacoli in programma, tenta di rivolgersi a spettatori vari, messi perfettamente d’accordo dal gioco delle commistioni.
Così ad assistere a Stazioni lunari ci sono i fan graffianti di Morgan, quelli intellettuali dell’algido Cristiano Godano; gli affezionatissimi di Teresa De Sio; i giovanissimi sostenitori dei 24 grana. Tutti concordi: lo spettacolo è bellissimo. A incantare, oltre alle singole esecuzioni, è la capacità degli artisti di intervenire – a volte anche a sorpresa, fuori scaletta – nei pezzi altrui: non è una passerella, i quattro restano tutti sul palco anche quando termina idealmente il loro set. Ogni musicista, dalla propria stanza, contribuisce liberamente a ciò che sta succedendo: c’è chi suona, chi armonizza con la voce, chi contrappunta, chi semplicemente sorride all’ascolto dell’altro.
Teresa De Sio, per la quale ogni presentazione sarebbe ridondante, è vestita di nero ma riempie il palco del fuoco rosso della passionalità napoletana. Sottolinea il senso dell’esibizione e dell’intera rassegna: “Siamo liberi di guardare il mondo con i nostri occhi e liberi di guardarlo anche con gli occhi di tutti gli altri”, dice. Cita poi il lato meno popolare di Domenico Modugno, autore, sottolinea, “di canzoni che possono essere carezze, ma anche pugni” e batte il tempo di Malarazza, testo di un grande della musica che non è stato solo Mister Volare.
E’ a questo punto che i quattro musicisti diventano uno, pur mantenendo le singole peculiarità; contaminano la canzone con suggestioni mai viste prima, che diventano realtà grazie alla scommessa - abbondantemente vinta - di Stazioni Lunari. Lo spettacolo scivola fluido fino a notte. Venti esecuzioni in tutto, pescate dal repertorio dei singoli, ma anche da quello di altri, in cover bellissime che servono ai quattro artisti a raccontare un aspetto di sé. Sorprendente l’interpretazione della De Sio di Amami ancora dei Cccp: lei, sola al centro del palco con la chitarra acustica, offre un’esecuzione orgasmatica in cui è difficile scindere voce, musica e passione.
“Una serata indimenticabile”, sottolinea il direttore artistico Casimiro Lieto. “Destinata a entrare nella storia e nell’identità di questo festival, libero e coraggioso. Uno spettacolo-manifesto. Una formula nella formula, che aiuta ad aggregare tribù sempre diverse e voci a volte distanti tra loro, unite dal filo sottile e profondo della libertà”.
(6 settembre 2006-13:30)
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