(Editoriale da: Il Foglio DEL 29 agosto 2006) - Gli episodi di violenza sulle donne
che si sono susseguiti nella capitale
lombarda ad opera quasi sempre di
immigrati extracomunitari o di rom,
com’è accaduto nel caso più recente,
hanno naturalmente turbato la popolazione.
I milanesi sono da sempre tra i
più propensi all’integrazione, anche
perché moltissimi di loro provengono
da famiglie che hanno vissuto l’esperienza
del trapianto da lontane regioni
meridionali. Sono contrari all’immigrazione
illegale e alla delinquenza che vi
alligna, non sono né xenofobi né razzisti.
Tuttavia la paura di essere considerate
in qualche modo intolleranti ha
impedito alle organizzazioni femminili
milanesi di reagire con decisione agli
stupri, in nome di quella che Susanna
Camusso, segretaria della Cgil lombarda
definisce “falsa coscienza”.
Paradossalmente non protestare
contro i violentatori extracomunitari
per timore di una “generalizzazione”,
rappresenta una sottile e duplice forma
di discriminazione. Credere che una
protesta con obiettivi chiari e definiti
potrebbe essere strumentalizzata significa
avere un retropensiero nel quale
alberga la convinzione che la violenza
contro le donne sia innata e inestirpabile
dalla cultura degli immigrati. L’altro
aspetto riguarda le donne immigrate,
che spesso sono tra le vittime della
violenza sessuale, che in questo modo
si vedono rifiutare una solidarietà umana
prima ancora che politica che avrebbero
il diritto di aspettarsi. Quando Susanna
Camusso sostiene di essere contraria
a “manifestare contro i matrimoni
combinati” o ad opporsi alla concezione
dell’inferiorità della donna tipica
della cultura islamica e di altre comunità,
come quella rom, con l’argomento
che vorrebbe prima sentire “le donne
migranti, finora invisibili”, si avviluppa
in una contraddizione. Assicurare alle
donne che vivono in Italia, e quindi anche
a quelle immigrate, i diritti e le libertà
garantite dalla Costituzione dovrebbe
essere un principio irrinunciabile,
come ha sostenuto giustamente il
ministro dell’Interno Giuliano Amato.
Il rispetto per le culture diverse deve
arrestarsi di fronte all’esigenza di affermare
l’universalità dei diritti umani.
Altrimenti ci si avvita in una logica ambigua
e giustificazionista, ci si infila in
un percorso alla fine del quale c’è lo
stupro politicamente corretto. L’integrazione
non è un processo privo di
asperità, ma se non le si affronta diventa
solo un’illusione ideologica che viene
contraddetta dai fatti.
|