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RIFIUTI, RAPPORTO DIA-LEGAMBIENTE: CASERTA 'DISCOUNT' DEGLI SVERSAMENTI ILLEGALI


Su 37 inchieste aperte in base all’art. 53 bis del Decreto Ronchi, ben 16 vedono coinvolte la Campania con tre Procure in prima linea: Napoli, Nola e Santa Maria Capua Vetere. La Campania, dunque, continua a rimanere epicentro privilegiato dei traffici illeciti di rifiuti in Italia. A confermare questa drammatica tendenza è il decimo ed ultimo rapporto di Legambiente sull’Ecomafia presentato martedì scorso a Roma. Dal dossier emerge che sono 40 le aziende coinvolte nelle inchieste e tre le aree maggiormente colpite: il Casertano, il Giuglianese ed il Nolano. Venticinquemila euro al giorno il guadagno di un trafficante campano di rifiuti. Circa un milione e mezzo il fatturato realizzato in un mese da un imprenditore campano che ha smaltito rifiuti fuori regione. La conferma arriva anche dal contributo annuale della Direzione investigativa antimafia al «Rapporto Ecomafia 2005» nel quale si legge che «la Campania si colloca al primo posto per quel che concerne i reati collegati all’illegalità ambientale, e per quanto riguarda il problema dell’illecito smaltimento dei rifiuti sono state riscontrate operazioni illegali nelle varie fasi del ciclo: dal trasferimento iniziale dal produttore alle imprese specializzate nella gestione dei rifiuti, al trasporto e stoccaggio, fino al trattamento, riciclaggio e smaltimento». Uno scenario confermato dallo stesso Commissario all’emergenza rifiuti Corrado Catenacci nell’audizione del 27 luglio 2004, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. A testimoniare il fatto che il territorio campano è stato trasformato nel corso degli anni nella pattumiera d’Italia sono i dati dell’Arpa Campania che ha censito nelle sole province di Napoli e Caserta qualcosa come circa mille discariche abusive. Emerge anche un allarme tumori che interessa 25 comuni della provincia di Caserta e di Napoli. Sono quei comuni che per anni sono finiti sotto i riflettori dei Rapporti Ecomafia. Dall’agro aversano alla terra dei Mazzoni, dal giuglianese all’area nord di Napoli, passando per comuni vesuviani. Nel rapporto, la provincia di Caserta viene definita il «discount» dello smaltimento illegale. Tra le centinaia di pagine si legge che il traffico di rifiuti speciali pericolosi verso Terra di Lavoro prosegue senza sosta e che dopo ogni impianto sequestrato ne spuntano altri all’improvviso. Sui terreni casertasette, spesso a vocazione agricola o nei pressi di falde acquifere si è sversato di tutto: polveri da abbattimento fumi di industria siderurgica e metallurgica, melme acide, morchie di verniciatura, fanghi di depuratori industriali. Del resto si tratta di un attività molto redditizia. Secondo un inchiesta del pm sammaritano Donato Ceglie, lo smaltimento corretto dei rifiuti imporrebbe costi di mercato tra i 21 e i 62 centesimi di euro, mentre lo smaltimento illegale viene effettuato a 9 o al massimo 10 centesimi al chilo. La zona più colpita da questo cancro velenoso rientra tra i comuni di Grazzanise, Cancello Arnone, Santa Maria La Fossa, Castelvolturno, Casal di Principe, quasi 300 km quadrati di estensione. «E’ in questo territorio che nascono gli stakeholder - ha detto Ceglie alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel corso di un’audizione dello scorso anno - contattano il trafficante competente in quel territorio e questi a sua volta contatta il napoletano, il casalese ma anche il calabrese o il pugliese. Ed ecco vengono soddisfatte le esigenze dell’utenza. Il sistema adottato per trasportare e smaltire illegalmente viene denominato del ‘giro-bolla’». La provincia di Caserta si presenta anche come un osservatorio privilegiato dell’interesse della camorra su questo business, come testimonia in maniera inequivocabile il provvedimento di confisca, emesso dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di Giacomo Diana, un esponente di spicco del clan camorristico La Torre. Il dossier prende in esame anche le inchieste sammaritane denominate «Cassiopea» (passata ora alla Dda di Napoli), «Re Mida» ed un lungo elenco di violenze ambientali: dagli incendi di pellami e carcasse di auto alle mancate bonifiche di gran parte del territorio; dal rinvenimento di bidoni contenenti rifiuti tossici ai vari episodi di abusivismo; dallo scempio del territorio provocato dalle cave ad altri gravi ecocrimini.

 
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