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CASERTA, BLITZ AI TOMBAROLI: SEQUESTRI E PERQUISIZIONI IN TUTTA ITALIA


SANTA MARIA CAPUA VETERE (Caserta), 21 gennaio 2011 (Casertasette) - E’ di cinque arresti, sette misure cautelari personali (divieto di dimora o obbligo di firma) e 51 indagati il bilancio dell'operazione dei carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale che ha portato a smantellare una banda di tombaroli di Casal di Principe attiva nell'area dell'alto Casertano e in parte nella provincia di Benevento. I dettagli dell’operazione denominata Ro.vi.na (acronimo delle città Roma, Viterbo e Napoli) toccate dall’inchiesta sono stati resi noti ieri nel corso di una conferenza stampa dal capo della Procura di Santa Maria Capua Vetere (competente territorialmente in quanto si è consumato il primo e maggiore reato), Corrado Lembo; dal procuratore aggiunto Raffaella Capasso; dal sostituto Alessandra Converso; il comandante del reparto operativo dei carabinieri per la Tutela del Patrimonio Raffaele Mancini; il capitano Massimiliano Quagliarella, della sezione archeologia gruppo e il tenente Carmine Elefante della speciale sezione dei carabinieri. L’organizzazione non lavorava per la camorra né gli introiti erano finalizzati a finanziare attività del crimine organizzato ma tra le persone finite agli arresti domiciliari c’è Annibale Corvino, 64 anni, detto «O professore», di Casal di Principe, (unico fra i destinatari del provvedimento cautelare coinvolto in passato in un’inchiesta per il favoreggiamento della cosca casalese), Salvatore Zara, 45 anni; Luigi Caterino, FilippoPalma, 71 anni tutti di Casal di Principe e Giacinto Lunardelli, 54 anni, quest’ultimo residente, ad Acerra. Divieto di dimora nella provincia di Caserta invece per Nicola Verde, 45 anni, di Cesa, Mario Luongo, 55 anni di Casal di Principe, Nicola Goglia, 37 anni, di Casal di Principe e Antonio Savastano, 44 anni di Mondragone. L'inchiesta ha consentito il recupero di 633 reperti archeologici, per un valore di circa un milione di euro ed è partita nel 2009 in seguito alla scoperta di trafugamenti a Riardo, Teano, Calvi Risorta, Sant'Agata dei Goti e Montesarchio. Decisivo è stato però il ritrovamento di un cappello, perso da un tombarolo in uno scavo clandestino nel Sannio. Dopo aver trovato il proprietario, i carabinieri sono riusciti a risalire ai suoi complici e a ricostruire tutto l'organigramma della struttura criminale: gli «scavatori», i fiancheggiatori (tra cui diversi incensurati), cui spettava occultare i reperti in attesa della vendita, gli artigiani (soprattutto pugliesi) addetti alla produzione di reperti falsi, da rivendere mescolati a quelli autentici, fino ai procacciatori (localizzati fra Taranto, Venezia e Piacenza) e ai ricettatori, capaci di piazzare i pezzi più importanti anche all'estero. I tombaroli, divisi generalmente in squadre da tre o quattro unitaà, si davano appuntamento in un bar di Casal di Principe, dove pianificavano gli obiettivi da visitare all'imbrunire, attrezzati di tutto punto: pale, picconi, lampade collegate a batterie d'auto e spilloni per controllare l'eventuale presenza di oggetti o cavità nel terreno, tali da indicare la presenza di reperti o tombe. Il giorno dopo, le aree trafugate si presentavano agli occhi degli investigatori e dei funzionari della Soprintendenza come un campo di battaglia. Una vera e propria groviera, con le buche scavate e parzialmente ricoperte, a volte lasciate perfino del tutto aperte, con tutti i rischi connessi per i proprietari dei terreni e gli animali da pascolo, senza contrare i danni provocati alle coltivazioni. Fra il materiale recuperato nel corso delle perquisizioni, ci sono crateri a calice e a volute, skyphos, kylix, gorgoni, satiri e protomi femminili. E ancora, 1050 frammenti, 31 reperti falsi, 73 monete antiche, cinque metal detector e 18 spilloni. Circa un milione di euro il valore complessivo. Le consulenze tecniche sui beni sequestrati hanno evidenziato la grande rilevanza archeologica di molti dei reperti recuperati, sia per le qualità artistiche che per le unicità delle decorazioni e la raffinatezza dei materiali impiegati. Tra queste, una oinochoe a figure nere del VII secolo a.C. e una a figure rosse del IV secolo a.C., con una particolare rappresentazione di un demone alato, attribuito al pittore di Napoli, e due crateri a campana a figure rosse, riconducibili, rispettivamente, al pittore di Dinos (420-450 a. C.) e al pittore di Caivano (340-330 a. C.). Il Procuratore capo, Lembo, nel corso della conferenza ha tenuto a precisare come i protagonisti dell’inchiesta siano residenti di Casal di Principe e quindi «casalesi» in quanto abitanti del piccolo centro del Casertano noto per aver dato i natali a importanti esponenti di una cosca criminale. «Ci sono i casalesi in quanto appartenenti al clan locale, che sono una piccola minoranza – ha evidenziato il procuratore – ma anche i residenti casalesi che vogliono il riscatto».

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