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BURRO E CAMORRA: DIA SEQUESTRA BENI PER 10 MILIONI DI EURO


Ammonta a dieci milioni di euro – secondo la Direzione Investigativa di Napoli – il valore dei beni mobili ed immobili sequestrati ieri agli imprenditori Rosario, Raffaele e Gennaro Viglione ritenuti legati in affari con il boss Vincenzo Zagaria, esponente del clan camorrista dei «casalesi». I provvedimenti di sequestro, proposti dalla della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, sono stati emessi dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale sammaritano. Si tratta di dieci societa' operanti nel settore caseario, con sedi tra Napoli, Caserta, Aversa, Carinaro e Melito; tre barche con potenti motori fuoribordo; una sala giochi e una ditta di commercio al dettaglio di tabacchi. Uno dei fratelli Viglione, Rosario, era stato gia' raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare in carcere quattro anni fa con l'accusa di aver fatto parte di una associazione a delinquere finalizzata a commettere reati conto la salute pubblica e la Pubblica Amministrazione. In particolare, Viglione aveva messo a disposizione dei «casalesi» e di Vincenzo Zagaria, le proprie aziende – tra cui la Italburro con sede nella zona industriale di Carinaro, nella quale, secondo gli inquirenti, figura socio di fatto proprio Zagaria - in modo da consentire all'associazione mafiosa il reinvestimento ed il reimpiego dei capitali di illecita provenienza nelle loro rilevanti attivita' economiche del settore caseario e della produzione del burro. Il processo, per il quale si attende la prima udienza, vede fra gli imputati anche l’ex direttore dell'Ufficio Iva di Caserta, Vincenzo Iorio; un professore universitario, Francesco Addeo, di Nola, titolare della cattedra di Agraria dell'Università «Federico II» che – secondo la Dda – avrebbe ricevuto un compenso di 5 milioni mensili per giudicare buono il burro adulterato delle società di Viglione e poi un ufficiale ed un sottufficiale dei Nas, tre funzionari della Regione Campania, due dipendenti dell'Asl 2 di Napoli, un responsabile dell'ufficio Repressioni Frodi di Portici, ed un funzionario delle Entrate di Caserta. Grazie alle dichiarazioni di uno dei soci della Italburro, Paolo Cecere e quelle di due collaboratori di giustizia (Salvatore D'Alessandro e Dario De Simone) gli inquirenti arrivarono anche ai colletti bianchi e ad alcune divise che avrebbero agevolato, dietro compensi elargiti una-tantum o corrisposti mensilmente (si va dalle 500 mila lire ai 40 milioni), l'attività crimonosa in questione. Tra le aziende casearie coinvolte nell’inchiesta madre della Dda figuravano la Cecere srl, la Clabur, la Vibur, la Clc, la Viglione, la Verabur, la Tre Stelle, la Devi Trading (coinvolta anche in un’inchiesta della Dda di Torino), la Ceramix 2000, l’industria Casearia Magia ritenute controllate dalla famiglia Cecere e con sede tra l’agro aversano, il litorale domizio e le altre - gestite da Raffaele e Rosario Viglione - nell’hinterland napoletano.

 
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