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FRATELLI DI MONDRAGONE (CASERTA) SOTTO PROCESSO PER OMICIDIO A RAVENNA


RAVENNA, 20 LUG 2009 - La vittima era tenuta ferma da dietro dal minore dei due fratelli imputati, mentre l'altro colpiva con il coltello. Inoltre a Bologna sul furgone di un testimone oculare e ora parte civile, a qualche settimana dai fatti furono trovati due bossoli di proiettile. E' quanto raccontato dai testi dell'accusa nella seconda udienza in Corte D'Assise a Ravenna del processo per la morte di Andrea Tartari, il trentacinquenne gommista bolognese ucciso a coltellate un anno fa a Porto Corsini, sul litorale ravennate, al culmine di una banale lite in strada. Alla sbarra, entrambi presenti, i due fratelli Giovanni e Salvatore Vertone, di 39 e 42 anni, originari di Mondragone (Caserta) ma da tempo domiciliati a Porto Corsini, arrestati dai carabinieri a tre giorni dai fatti mentre andavano a costituirsi. In aula anche la fidanzata della vittima, la bolognese Katia Di Benedetto la quale, seppur presente la notte dell'omicidio, non ha visto nulla, ha riferito, perché si trovava più avanti al momento dei fatti. Tutto, ha detto, si è svolto al buio in pochissimo tempo e all'inizio "non mi ero resa conto che Andrea fosse ferito. Io - ha aggiunto - ho visto solo sagome". La ragazza, che ha riconosciuto in aula i due presunti aggressori, ha però precisato che Tartari fu tirato fuori a forza quando già si trovata dentro all'auto. Il padre della giovane, Michele Di Benedetto originario di Gravina di Puglia (Bari) ma residente in provincia di Bologna e arrivato sul posto alla fine dell'aggressione, ha sostenuto che Giovanni Vertone da dietro teneva Tartari ormai senza più reazioni, mentre l'altro menava colpi. Ha quindi riconosciuto in aula i due imputati. Chi invece non li ha riconosciuti sebbene presente quella notte - "perché è passato troppo tempo" - è stato Leonardo Pingitore, originario della provincia di Cosenza ma residente a Bologna, ex marito della cugina di Katia Di Benedetto e a sua volta colpito con una coltellata durante lo scontro. Quando il Pm Roberto Ceroni ha domandato se avesse mai subito minacce, l'uomo ha ricordato di un episodio risalente "a settembre o ottobre 2008": qualcuno gli lasciò sul furgone di lavoro due bossoli. Fatto che il teste aveva legato all'omicidio Tartari e che per questo, sebbene accaduto a Bologna, aveva denunciato il 25 ottobre al comando provinciale dei carabinieri di Ravenna. Nel pomeriggio ha parlato anche Pietro Chiaiese, originario di Napoli ma residente a Russi (Ravenna), teste della difesa e lontano parente dei due imputati. L'uomo, che la notte dell'omicidio ospitò i due fratelli in fuga, durante una deposizione confusa più volte contestata dal Pm, ha detto che Giovanni era ferito a un labbro e che Salvatore gli aveva detto che era stato Tartari a insultarli con epiteti razzisti perché appoggiati sulla sua auto e poi a colpire per primo con un pugno. Prossima udienza domani, quindi si passerà al 21 settembre per gli ultimi testi e per la discussione.

 
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