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CAMORRA: POST-IT, FILE WORD E 'CROCI' SUI NOMI DI CHI NON PAGAVA


CASTELVOLTURNO (Caserta) — Sarebbe stata decisa e voluta da Giuseppe Setola, latitante, vice di Bidognetti, la strage di Castelvolturno. Motivo: convincere la comunità degli «sporchi neri» a versare una percentuale sui proventi dello spaccio, o in alternativa a cedere al clan dei casalesi un chilo di cocaina. Lo dice Oreste Spagnuolo, uno dei tre presunti assassini stanati dai carabinieri a Giugliano il 30 settembre scorso e che è ora collaboratore di giustizia (alle villette di cupa Reginelle gli investigatori arrivarono pedinando un affiliato, che aveva accompagnato alcune prostitute perché avessero rapporti con i latitanti). La notizia, che era già trapelata nei giorni scorsi, ha avuto conferma ieri, quando, grazie alle sue dichiarazioni, sette persone sono state fermate; sono accusate, a vario titolo, di associazione camorristica, estorsione, detenzione illegale di armi e strage. Tra loro c'è Bernardino Terracciano, 60 anni, che ha avuto una particina nel film «Gomorra». Fermati anche Massimo Alfiero, di 36 anni; Vincenzo Di Fraia, di 29; Pietro Fontana, di 52; Nicola Gagliardini, di 35; Antonietta Pellegrino, di 26; Nicola Tavoletta, di 28. Terracciano, in particolare, aveva il ruolo di custodire le armi del clan e andare in giro a chiedere tangenti. Sono sfuggiti alla cattura, oltre a Setola, due dei suoi uomini più fidati, uno dei quali è implicato negli ultimi due omicidi: quello di Lorenzo Riccio, il dipendente delle pompe funebri assassinato il 2 ottobre a Giugliano, e quello di Stanislao Cantelli, zio dei pentiti Diana, ucciso tre giorni dopo a Casal di Principe. I sette sono stati fermati nel corso di un'operazione congiunta tra i carabinieri e la squadra mobile. I carabinieri della compagnia di Giugliano hanno trovato due pistole e numerose munizioni in una casa di Qualiano; arrestati Giulio Iacolare, di 59 anni, e la moglie R.G., di 49. Oreste Spagnuolo ha chiarito il movente della strage del 18 settembre, quando, davanti ad una sartoria sulla Domiziana, vennero massacrati sei immigrati africani. Il giorno della cattura di Spagnuolo (con lui vennero bloccati anche Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia) i carabinieri del comando provinciale di Caserta trovarono alcuni post-it strappati, alcuni file word e un foglio a quadretti formato A4 con indicazioni su esercizi commerciali da taglieggiare. Alcuni erano «nuovi», altri abituali; croci erano state tracciate su quelli i cui titolari avevano risposto picche, asterischi sugli altri. I post-it erano messaggi che, appena poche ore prima dell'arresto, Giuseppe «Peppe» Setola, tornato libero la scorsa primavera per problemi alla vista, aveva inviato ai suoi uomini. «Quanto ad alcuni bigliettini manoscritti che sono stati rinvenuti — chiarisce Spagnuolo ai pm — si trattava di messaggi inviati da Peppe Setola il giorno stesso in cui siamo stati arrestati. La grafia era certamente la sua. In particolare il messaggio indirizzato a Davide era rivolto a Davide Granato e nello stesso Peppe gli scriveva di informarsi per i lavori che dovevano essere fatti sul territorio. Sempre nello stesso messaggio gli diceva di farsi pagare dagli "sporchi neri" oppure farsi dare un chilo di droga, da intendersi cocaina, quale pagamento della tangente, ricordandogli i suoi impegni. Dopo la strage, Granato era stato ulteriormente responsabilizzato di portare a termine il suo impegno e Peppe ricordava la cosa proprio con il biglietto in questione». Ma Spagnuolo, i cui familiari si sono rifugiati già da alcuni giorni in una località segreta, chiarisce anche movente, colpevoli e dinamiche degli ultimi fatti di sangue. E avverte: Setola vuole imporre il terrore. Nessuno osa sottrarsi alle sue decisioni. Ed ha ancora con sè un kalashnikov: «Il clan, prima dell'evasione di Setola, si trovava in un periodo stagnante; tutto cambiò con l'avvento di Peppe. Quel giorno prese il comando e dichiarò subito la sua intenzione di fare "a modo suo"; capimmo subito cosa intendeva. Creò un gruppo ristretto di persone ed assunse un atteggiamento estremamente autoritario. La sua strategia fu evidente: decise di incutere il terrore sul territorio e di uccidere i familiari dei pentiti. Non dava alcune spiegazione delle sue determinazioni perché nessuno poteva avere alcun ruolo nelle sue decisioni; assunse un ruolo di massima autorità. Non vi era alcuna possibilità di discutere delle sue scelte e tutte le persone facenti parte del gruppo aderirono necessariamente alla sua volontà. Non so dire quanto questa strategia fosse necessaria, ma certamente il capo disse che era stata autorizzata dal capo detenuto, Francesco Bidognetti; ricordo in particolare che in un'occasione, pochi mesi fa, quando erano stati già consumati molti omicidi, il figlio di "Cicciotto", Gianluca, ci disse — tornando da un colloquio — che non aveva mai visto il padre così contento come ora. La strategia prevedeva di terrorizzare gli imprenditori e i familiari dei pentiti e di scoraggiare futuri pentimenti. Setola voleva poi controllare il territorio e per questo decise di punire alcuni pregiudicati albanesi che consumavano furti nella zona di Castelvolturno e sulle zone da noi controllate; le vicende omicidiarie ai danni dei cittadini di colore si legavano invece alla volontà di imporre loro il versamento di una tangente sui traffici di droga, da costoro gestiti. Agiva a volto scoperto; non si è mai preoccupato di un eventuale riconoscimento. Quando noi gliene chiedevamo le ragioni ci rispondeva che «non gliene fotteva niente» e che noi «non facevamo gli orefici ». Disse anche che aveva già un ergastolo e «non aveva niente da perdere». (11 ottobre 2008)

 
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