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RECENSIONI, LIBRI E CRIMINI: SPARTACUS, QUESTA CORTE CONDANNA


SPARTACUS: Questa Corte Condanna.
IL PROCESSO AL CLAN DEI CASALESI
Il più importante processo alla camorra. Il più ignorato
Intervista al giudice Lello Magi

S. Maria C.V. – ( di Ferdinando Terlizzi )

Marcello Anselmo e Maurizio Braucci, hanno fatto un buon lavoro con la pubblicazione degli atti del processo cosiddetto “Spartacus” sotto il titolo “QUESTA CORTE CONDANNA” per le Edizioni de “L’Ancora del Mediterraneo”. Peccato, però, che il volume non ha un indice dei nomi citati. La prefazione è di Andrea Cozzolino. Il costo ( nonostante il contributo della Regione Campania) è di Euro 15.

“Indagini, intercettazioni, confessioni – è scritto sulla quarta di copertina – “dichiarazioni, autopsie, investigazioni, accertamenti, dati, resoconti e riscontri. E principalmente morti, morti su morti. E’ il compendio delle attività illecite e dei soprusi della camorra più spietata e crudele. E’ la ricostruzione e la narrazione – quasi in diretta – come un romanzo polifonico e autobiografico, del sistema del malaffare, dai Bardellino ai casalesi. Con dovizia e ricchezza di particolari la storia è offerta in tutta la sua crudezza a ricostruire eventi tragicamente reali che sembrano sequenze di un film e che si fanno leggere più come un reportage di guerra che come un romanzo”.

“La pubblicazione della sentenza “Spartacus” – è detto ancora in quarta di copertina – “estesa per il Tribunale dal magistrato Raffaello Magi e riscritta e rielaborata per il grande pubblico da Marcello Anselmo e Maurizio Braucci, contribuisce a creare trasparenza offrendo dati e ricostruzioni che possono assottigliare la cortina di fumo che circonda le attività dei clan”.

Frutto di un'istruttoria dibattimentale durata sei anni, il processo Spartacus contro il clan dei casalesi si è concluso nel 2005 presso la Corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere con la condanna di novantacinque persone, di cui ventuno all'ergastolo. Pur trattandosi di un grande attacco dello stato alla camorra, dello scacco al gruppo criminale forse più ricco in Italia, Spartacus non ha ricevuto sulla cronaca nazionale la visibilità e il riconoscimento che avrebbe meritato. La pubblicazione degli atti di tale processo, oltre all'entità dei reati, degli affari e dei territori controllati dai casalesi, ha anche lo scopo di raccontare l’esperienza di quanti vi hanno svolto un ruolo giudiziario. Raffaello Magi è il magistrato napoletano che ha redatto la motivazione della sentenza di primo grado del processo Spartacus 1.
Chi è Raffaello Magi?

“Parlare di se stessi non è facile, specie per chi ricopre un ruolo che, per comune sentire, deve rifuggire da personalismi o da ricerca di notorietà. Dico soltanto questo: napoletano, quarantaquattro anni, da quattordici faccio il magistrato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Terra difficile e contraddittoria, caratterizzata da un altissimo tasso di illegalità diffusa e da condizionanti presenze di solidi organismi criminali di tipo associativo. Un tribunale che si trova a esercitare le proprie funzioni di "controllo" sui comportamenti di una miriade di persone residenti nell'area posta a nord di Napoli, sino al basso Lazio. In Italia vi è una strana geografia giudiziaria, mutuata da equilibri raggiunti nei primi anni del 1900 e quasi mai modificati. Per questo nell'intera provincia di Caserta esiste un unico tribunale, localizzato, appunto, a Santa Maria Capua Vetere. In questa sede ho svolto sinora le funzioni giudiziarie, prima da componente del collegio penale, poi da giudice per le indagini preliminari, e ancora da giudice “a latere” della Corte d'assise. Attualmente presiedo un collegio giudicante penale. Gli anni trascorsi in Corte d'assise - tra l'estate del 1998 e la fine del 2005 - sono stati quasi integralmente "assorbiti" dalla celebrazione del maxiprocesso Spartacus 1 al clan camorristico dei casalesi, nel collegio presieduto dal collega Catello Marano composto da me e sei giudici popolari, con cui si è condivisa la celebrazione delle seicentotrenta udienze dibattimentali. Oltre a questo processo, conclusosi il 15 settembre del 2005, nel periodo vissuto in Assise ho partecipato, con il presidente Maria Rosaria Cosentino, alla celebrazione del processo agli autori dell'omicidio di Francesco Imposimato, avvenuto a Maddaloni nell'ottobre del 1983. Questo processo si è concluso nel maggio del 2000 e la sentenza è diventata in massima parte definitiva, con condanna all'ergastolo del mandante Giuseppe Calò, soggetto già giudicato per appartenenza alla mafia siciliana. Questi due eventi giudiziari hanno profondamente caratterizzato gli ultimi anni della mia esperienza professionale”.
Partiamo dai numeri. Quando è iniziato il processo e quali sono stati gli eventi scatenanti di questa istruttoria? Quanto è durato? Quanti gli imputati e i testimoni?

“Il maxiprocesso Spartacus non è altro che il risultato di una vastissima indagine condotta dal 1993 al 1998 dalla Procura antimafia di Napoli – in particolare dai pubblici ministeri Lucio Di Pietro, Federico C.afiero De Raho, Francesco Greco, Carlo Visconti, Francesco Curcio, e in seguito Raffaele Cantone e Raffaello Falcone - sul temibile clan dei casalesi, organizzazione che si è dedicata nel territorio aversano sin dall'inizio degli anni Ottanta, sotto il dominio di Antonio Bardellino e, successivamente, di Francesco Schiavone, Vincenzo De Falco e Francesco Bidognetti. Dalle indagini che, a partire dal maggio 1993, vennero alimentate dalle confessioni di alcuni "collaboratori giustizia" e che ebbero ulteriore impulso dopo l'orribile episodio rappresentato dall'omicidio di Don Giuseppe Diana, avvenuto a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, sono sorti diversi filoni processuali, tutti portati al giudizio del Tribunale o della Corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere”.


“A partire dalla fine degli anni Novanta e, si può dire, a tutt'oggi, questo tribunale ha complessivamente giudicato per appartenenza ad associazione camorristica, omicidi, estorsioni e altro più di mille imputati. In particolare, nel maxiprocesso Spartacus 1 è stata oggetto di giudizio, sia dal punto di vista militare che economico, la struttura di "vertice" dell'organizzazione e i soggetti che hanno contribuito, con varie modalità, alla nascita dell'attuale gruppo dirigente. Gli imputati sono stati centoventisei e il processo si è snodato attraverso seicentotrenta udienze, con l'ascolto di più di seicento testimoni, tra cui venticinque collaboratori di giustizia e l'acquisizione di materiali cartacei, intercettazioni, perizie e autopsie che hanno riempito più di duecento faldoni di atti processuali. La durata complessiva del giudizio di primo grado è stata di sette anni, dal 1998 al 2005 - due anni sono stati necessari per consentire le discussioni finali -, gli imputati condannati sono stati novantacinque: ventuno alla massima pena dell'ergastolo per l'accertato concorso in uno o più episodi di omicidio, ventuno assolti e dieci deceduti durante il processo. Centinaia di beni, anche di notevole valore economico, sono stati confiscati. Le risorse impiegate sono state ingenti: si è ricorso al sistema della videoconferenze per evitare la traduzione presso l'aula bunker del carcere di Santa Maria CapuaVetere dei detenuti ritenuti di maggiore pericolosità, sono state allestite due nuove aule bunker per terminare il processo in condizioni di regolarità e i magistrati impegnati hanno ottenuto la possibilità di seguire esclusivamente tale processo con esonero dagli altri affari. La camera di consiglio finale è durata per undici giorni ininterrotti, dal 5 al 15 settembre del 2005. La sentenza di primo grado, depositata nel giugno del 2006, si sviluppa per tremiladuecento pagine e ripercorre i sessantasette capi di imputazione del processo. Attualmente è ancora in corso il giudizio di secondo grado presso la Corte d'assise d'appello di Napoli.
Cosa ha significato prendere parte a un processo così importante?

Per un magistrato dedicarsi a un processo del genere significa anzitutto accettare l'idea di dover impiegare, in modo pressoché esclusivo, alcuni anni della propria vita professionale per ricostruire un unico "fatto", definibile in termini di "macroevento", con numerosissime implicazioni. Da questo punto di vista si accetta un rischio che è strettamente correlato alla dimensione ”anomala” dell'evento giudiziario e che responsabilizza fortemente tutti i protagonisti. Il processo, infatti, è oggi un meccanismo di estrema delicatezza, integralmente normativizzato, e in ogni più piccolo "passaggio" si annida il rischio dell'errore e del successivo annullamento, con vanificazione di anni di lavoro e di speranze. Per questo, il primo ingrediente per affrontare un simile impegno è quello della maniacale attenzione - in corso d'opera - a tutti gli aspetti giuridici e organizzativi, per far sì che il processo si possa effettivamente celebrare. Il meccanismo funziona se si impiega il proprio tempo nel prevedere e prevenire gli ostacoli e occorre estrema rapidità nella soluzione dei problemi. Il processo è anche un lavoro di gruppo in cui, chi tiene in mano le redini dell'organizzazione, deve sempre offrire linearità, sicurezza, efficienza e motivare adeguatamente le persone che lavorano al suo fianco. Quando ciò non avviene, in situazioni spesso complesse, non si riesce nemmeno a fare l'appello degli imputati e a verificarne la presenza. Dunque, la principale scommessa condivisa con i compagni di viaggio - primo fra tutti il presidente della Corte Catello Marano - e assecondata dalle scelte del presidente Carlo Alemi, che all'epoca dirigeva il tribunale, è stata quella di affrontare la "fattibilità" del maxiprocesso in una realtà come quella dell'ufficio di Santa Maria Capua Vetere, da sempre sottodimensionato e afflitto da carichi di lavoro così insostenibili da far fuggire appena possibile chi vi capita. A ciò è seguita la consueta abitudine alla verifica delle ipotesi di ricostruzione dei fatti, che in casi del genere viene esasperata dalle dimensioni, dalla quantità dei microfatti da valutare, dalle pesanti conseguenze della propria decisione. Ma in questo la corte è sempre stata unita e serena e ha sempre operato tutti gli approfondimenti conoscitivi che la logica imponeva. La forza di ogni decisione sta nell'impegno dedicato nella attività di ricostruzione dei fatti. Ne è derivata, ovviamente, una durata elevata del giudizio, ma ciò è il risultato delle nuove regole processuali e del doveroso scrupolo nel realizzare l'istruttoria”.
Spartacus non ha purtroppo avuto la visibilità che meritava in Italia come primo grande processo alla camorra casertana. Come mai?

“Quanto all'impatto "mediatico" del processo, - spiega ancora il giudice Lello Magi - “credo che la sua scarsa visibilità, di cui pure si e parlato dopo la pubblicazione del libro scritto da Roberto Saviano, sia dipesa da più fattori. Non è stato estraneo, credo, a tale risultato il metodo di lavoro dei protagonisti giudiziari, Ognuno è rimasto strettamente legato al proprio ruolo, preso dalla serietà e complessità della vicenda processuale in sé. In secondo luogo, va considerato il tempo lungo che si è reso necessario per raggiungere il verdetto, che inevitabilmente fa apparire un po’ datati i fatti oggetto di giudizio, rispetto alle emergenze “mediatico-criminali” del momento. Per presentare un esito così complesso, anche da parte degli operatori dell'informazione, occorrono capacità di analisi e volontà di studio degli atti, attributi che pochi e qualificati osservatori dei fatti giudiziari italiani hanno. Non a caso la maggiore attenzione è venuta da chi, come Rosaria Capacchione, segue da anni le vicende della camorra casertana dalle pagine del maggior quotidiano napoletano, e soltanto dopo il “grido di dolore” lanciato da Roberto Saviano si è diffusa una maggiore sensibilità e voglia di approfondire. E ancora, penso che a penalizzare l'evento giudiziario sul piano mediatico sia stato il luogo della sua celebrazione: una delle province del Sud dove quotidianamente accadono i fatti più cruenti nella generale indifferenza dei media e, a volte, degli stessi cittadini ormai assuefatti. E questo l’aspetto che più mi inquieta perché, se manca la voglia di evidenziare, quando avvengono, i fatti positivi e le dimostrazioni di efficienza, ci si trova al cospetto dei sintomi di una rassegnazione che dobbiamo tutti combattere. Infine, può anche essersi saldato a tale componente il desiderio dei soggetti sottoposti al processo di evitare attenzioni sulle vicende giudiziarie in corso”.
Da Spartacus sono nati altri filoni di indagine e altri processi?

“Una caratteristica particolare del processo è stata quella di consentire una verifica in “campo aperto” di moltissimi eventi (omicidi, attività estorsive, meccanismo di accumulazione e di reinvestimento illecito di capitali) avvenuti durante un arco temporale molto ampio - dalla fine degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta - e molti soggetti hanno avviato percorsi di collaborazione con la giustizia durante il dibattimento. Da ciò sono derivati nuovi filoni di indagine, attualmente seguiti dalla Procura della Repubblica di Napoli. Circa gli esiti di alcuni altri processi, di particolare rilievo sono le decisioni sull’omicidio di Don Giuseppe Diana, che testimoniano la durezza e la crudeltà dello scontro sorto dopo la morte di Vincenzo De Falco e la sentenza del processo Spartacus 2. In tale decisione sono stati anche presi in esame i rapporti dell’organizzazione con alcuni esponenti politici – ma nel processo non si è raggiunta la prova della responsabilità penale di tali soggetti – e alcuni appartenenti alle forze dell’ordine, con alcune condanne. Inoltre, va ricordato che la magistratura salernitana si è occupata di alcuni casi che hanno riguardato magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Santa Maria Capua Vetere nel corso degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta”.




La sentenza ora è data. Ma come reagiscono i condannati? Che strategie hanno?



Dopo la sentenza di primo grado, è in corso di svolgimento il giudizio appello. Per abitudine, tendo a distaccarmi il più possibile dai prodotti finali del mio lavoro, anche perché la quotidianità incalzante dei nuovi affari da trattare non lascia spazio alla contemplazione di ciò che è stato. È evidente, però, che una decisione come questa - al di là dei contenuti specifici – può segnare un punto di arrivo di grande importanza per la ricostruzione degli equilibri criminali ed economici della regione. Se pensiamo al fatto che il precedente accertamento giudiziario "di gruppo" sulla camorra casertana risaliva al 1986 – la cosiddetta "sentenza Bardellino" - è evidente che la decisione ove divenuta definitiva, sarà posta a base di nuove vicende giudiziarie, cosa che in parte già sta accadendo. Circa le strategie difensive poste in essere durante il giudizio di appello, risulta che alcuni imputati condannati per omicidio – non più di quattro o cinque - hanno ammesso la loro responsabilità concordando una diminuzione della pena dall'ergastolo a trenta anni di reclusione; questo comporterà un rapido passaggio in giudicato delle loro singole posizioni. Ma la maggior parte degli imputati attende ancora la valutazione dei motivi di impugnazione da parte dell'organo giudicante di secondo grado e non è possibile prevedere con esattezza i tempi della decisione. Inoltre, è importante ricordare che sino alla decisione definitiva tutti gli imputati, anche se condannati in primo grado, sono assistiti dalla presunzione di non colpevolezza.
I reati dei cosalesi condannati in Spartacus risalgono anche a venti anni fa. Ma che casa succede ora nei territori sottoposti al loro controllo? Ci sono altre inchieste sulle strutture odierne del clan e sui loro successori? Come si configura la loro rete economica attuale?



“La rete economica e relazionale di un'organizzazione camorristica è rappresentata da un intreccio di interessi e di fenomeni che, per quanto è dato comprendere, restano in buona parte immuni alle verifiche giudiziarie. Le organizzazioni si alimentano attraverso la penetrazione nel mercato, sfruttano le maglie di un'imprenditoria spesso bisognosa di protezioni, si pongono come "mediatori del consenso" in occasione di competizioni elettorali, realizzano investimenti che offrono lavoro a soggetti affiliati e non, condizionano spesso le scelte delle piccole amministrazioni locali. E hanno solidi legami interni, basati anche su vincoli familiari, che consentono di superare periodi di crisi legati alla pressione giudiziaria o alle dinamiche di conflitto con gruppi antagonisti. Di certo il carcere, specie se prolungato, rappresenta un deterrente alla prosecuzione "individuale" dell'attività illecita, ma molte volte si è constatato che soltanto la strada del contrasto alle sedimentate accumulazioni patrimoniali - purtroppo ancora disseminata di difficoltà - consente di minare l'effettiva capacità di influenza, contrattazione e reclutamento dei nuovi affiliati. In particolare, per ciò che è emerso da indagini più recenti, resterebbe forte il potere economico e militare del gruppo casalese, con ramificazioni anche in zone del Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. Ma trattandosi di fatti ancora in corso di accertamento, credo sia poco opportuno parlarne in questa sede, nè mi sento il soggetto più idoneo a farlo”.
Quali sono le differenze sostanziali tra la camorra dei casalesi e la camorra campana in generale?

“Le differenze emerse tra il gruppo casalese e i restanti gruppi campani riguardano anzitutto le origini del fenomeno criminale-associativo. Antonio Bardellino, in particolare, in quanto uomo legato alla famiglia dei Nuvoletta e dunque al modello di Cosa Nostra siciliana, imposta l'organizzazione importando non solo il rituale della affiliazione - che perderà importanza nel corso del tempo -, ma soprattutto i rigidi meccanismi di funzionamento: suddivisione del territorio per zone, affidamento di responsabilità direttive a capizona, allargamento dei componenti basato anche su vincoli di sangue, straordinaria capacità di sfruttare rapporti con l'imprenditoria.
Del resto, la camorra casertana, più simile alla mafia, ha dalla sua un potente alleato, rappresentato dalla vastità del territorio, che viene non solo monitorato ma soprattutto "sfruttato" per ogni sua potenzialità economica, dall’interramento dei rifiuti pericolosi, alla monopolizzazione del mercato del calcestruzzo e degli inerti, al controllo della distribuzione di alcuni prodotti essenziali. In questo, si alimentano alcune differenze con i clan "metropolitani", dediti in maggior misura al traffico delle sostanze stupefacenti e alle tradizionali forme estorsive”.
Questioni dì metodo. Questa corte condanna è un'opera dì "traduzione", guanto incide sullo stile e sulla forma del testo narrativo la struttura della sua fonte, ovvero gli atti della sentenza?




“Quanto all'opera di divulgazione di una "fonte" così particolare come il testo di una sentenza, è evidente che il lettore deve tener conto della genesi e delle finalità prioritarie del documento. La motivazione di una sentenza altro non è che l'esposizione "ragionata" dei risultati conoscitivi ottenuti durante il processo (attraverso le dichiarazioni dei testimoni, la consultazione dei documenti, l'analisi delle conversazioni intercettate) che vengono "scremati" e ordinati al fine di sorreggere la decisione presa.
Vi e dunque un vincolo preciso che il giudice deve osservare in tale lavoro: eliminare il superfluo, attenersi ai fatti obiettivi, rappresentare il percorso effettivo che ha condotto alla decisione, attribuendo a ogni "dato" il suo valore dimostrativo. Infine, comparare i dati raccolti con l'ipotesi iniziale (in gergo tecnico detta "imputazione") e tirare le conclusioni giuridiche sciogliendo il nodo tra innocenza e colpevolezza di ogni singolo imputato. Ciò serve, in primo luogo, ai soggetti "destinatari" della decisione, che devono poter comprendere le ragioni logiche e giuridiche che hanno determinato la sentenza, anche al fine di opporsi a tale ricostruzione e individuarne i punti deboli.
Da ciò deriva, ovviamente, una complessità espressiva e una tendenza a "reiterare" momenti valutativi (dato che la decisione finale arriva sulla base di conclusioni "parziali", legate all'analisi delle singoli fonti dimostrative utilizzate) che di certo possono appesantire il testo. Solo in via "mediata" la sentenza offre uno spaccato storico dei fatti portati a giudizio, ma è e resta un documento di tipo tecnico.
Da ciò deriva, in qualche modo, la sfida affidata agli autori: adeguare il linguaggio utilizzato a esigenze divulgative senza snaturare il reale contenuto della decisione. Credo che il lavoro svolto sia una importante dimostrazione di quanto ciò sia possibile”.

Quali le possibili conseguenze della
divulgazione degli atti di questo processo?

“Un'operazione di "traduzione" e divulgazione di parte dei contenuti della sentenza emessa dalla Corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere, come quella realizzata in questo volume, credo abbia il merito di avvicinare la gente - e soprattutto i più giovani - all'idea di giustizia. Far comprendere quale sia il metodo con cui la magistratura si dedica alla ricostruzione dei fatti, credo che possa ridurre la distanza che si è ormai frapposta - per più ragioni - tra la collettività e gli operatori di giustizia. Ho sempre pensato, infatti, che l'attenzione collettiva sulle vicende e sulle persone che popolano i nostri tribunali non debba essere affidata esclusivamente alla mediazione narrativa di tipo giornalistico, ma che occorra un recupero della fonte, del documento che possa avvicinare alla verità. Lo scopo finale credo sia quello di far comprendere che la scelta criminale non paga, che le alternative alla povertà devono esser cercate nel sacrificio personale e nel lavoro legale, e che la giustizia - pur con i suoi tempi - arriva a ricostruire i fatti.”



I numeri


Tremila 200 pagine di sentenza, con 21 ergastoli comminati. 844 anni di reclusione. Novantacinque condanne per 416 bis. 630 sono state le udienze nel corso delle quali la Corte di Assise di S. Maria C.V. ( Presidente Catello Marano, a latere e relatore Raffaello Magi) ha vagliato 67 capi di imputazione. Gli imputati erano 126. Ben 508 sono stati i testi escussi, mentre 25 i collaboratori di giustizia. Duecento faldoni cartacei rappresentano una montagna documenti nella quale si è immerso il pubblico ministero Federico Cafiero De Raho nelle sue 50 udienze per svolgere la sua requisitoria. La difesa ha impiegato, invece, ben 108 udienze per le arringhe. Dal “processone” Spartacus sono poi sorti altri processi:

1. Spartacus Due – Dove furono coinvolti molti politici ( poi quasi tutti assolti, accusati dal quel venduto di Pasquale Pirolo… un infame al soldo della giustizia che ha accusato politici e giornalisti ( compreso l’autore di questo servizio ) per riscattare le sue attività – frutto di camorra – che erano state sottoposte a sequestro.
2. Regi Lagni – con 150 imputati –
3. L’omicidio di Franco Imposimato –
4. L’omicidio di Don Peppe Diana –
5. Quelle delle truffe all’Aima, con 241 imputati ( poi quasi tutti assolti ) per gli scamazzi della frutta con arresti anche di Finanzieri ( l’appello è fissato per ottobre 08 )

I tempi

Dal momento della emissione delle ordinanze di custodia cautelare, dicembre 1995 – alla lettura della sentenza – settembre 2005 – sono passati quasi 10 anni. Nel corso di questi anni intensa è stata l’attività dell’applicazione della legge Rognomi-La Torre sono stati infatti:

1. 139 i fabbricati sequestrati ai camorristi o a loro prestanomi
2. 52 sono stati gli appezzamenti di terreno sequestrati o confiscati
3. 14 le società paralizzata che i mafiosi non hanno più potuto usare
4. 12 le macchine di grossa cilindrata ( anche Ferrari ) poste sotto sequestro
5. 3 le barche abbastanza grandi

Il valore stimato dai tecnici del Tribunale, ( che però hanno un loro metro particolare, spesso sopravalutano i beni per fare bella figura con chi affida loro l’incarico), è stato di 354 miliardi delle vecchie lire. In totale i periti della Corte di Assise hanno stimato un patrimonio “mafioso” di circa 800 miliardi delle vecchie lire.
Per inciso, va precisato, che tra quelli che sono sottoposti ai sensi del 321 C.p.p. ( sequestro preventivo ) e quelli confiscati, soltanto pochi beni sono passati definitivamente nelle mani dello Stato. …

”La forza è messa in mostra senza fascino nel momento in cui lo stato prova a riappropriarsi della ricchezza criminale, e si sa, non è impresa facile. Oltre l’apposizione dei sigilli di confisca, spesso non accade più nulla – ( è detto nel libro “Questa Corte Condanna – pagina 23 ) - a volte per effettive difficoltà, altre per incredibili connivenze, altre ancora per oggettiva carenza di idee”.

La storia dei Casalesi

Il libro – un vero strumento di lavoro per avvocati, giornalisti, operatori del diritto e studenti di giurisprudenza – reca anche una cronologia dei maggiori avvenimenti criminali verificatisi dal 1983 al 2003 - Vi sono capitoli assai interessanti come quello sulla storia dei casalesi ( il dominio del clam Bardellino – l’accumulazione economica e l’infiltrazione nel mercato del calcestruzzo – il caso dei regi lagni – la costruzione del nuovo carcere di S. Maria C.V. – la costruzione della Tav – la truffa all’Aima - )

La prima guerra di successione dai Bardellino ai casalesi

Gli omicidi di Antonio Bardellino e di Paride Salzillo. Altri riscontri sul delitto Bardellino – L’omicidio di Giuliano Pignata – caccia ai Bardellino – Resa dei conti a Casapesenna –


Il potere logora, anzi ammazza


La ripresa delle ostilità – Il blitz di Santa Lucia L’assassino di Alberto Beneduce – la guerra continua – colpo su colpo – la momentanea fine delle ostilità. Le trame economiche dei casalesi –


Pentiti, infami e voltagabbana


Il livello di “inclusione” dei principali dichiaranti – Dario De Simone – Luigi Basile – Carmine Schiavone - Giuseppe Quadrano – Franco di Bona – Carmine Alfieri e Pasquale Galasso.




(MAGGIO 2008 - Vedi anche libri e crimini su Home Page Casertasette.com)

 
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