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*EMERGENZA RIFIUTI: DOPO L'ESERCITO NON RESTA CHE PADRE PIO*


CASERTA — (di Mauro Imirisio dal Corriere della Sera del 14 Gennaio 2008) - Qualcuno ha incollato un manifesto di padre Pio sulla fiancata a macchie verde e nero del camion in manovra tra i rifiuti. «Per benedirlo e proteggerlo» dice Angela, che assiste ai lavori dalla finestra al pianterreno del suo villino, tutta contenta per aver recuperato la visuale sulla strada dopo 25 giorni. A liberare via Ferrarecce sono arrivati i soldati del Genio militare, ma non c'è nessuno che festeggia. Le ruspe dell'esercito attaccano montagne di monnezza, la sollevano verso l'alto e la buttano nei cassoni dei camion. La gente sul marciapiede di fronte, quello già ripulito, non applaude, guarda soltanto, con aria perplessa. Il sollievo, le frasi che celebrano la fine dell'assedio, si mischiano alla consapevolezza di assistere ad uno spettacolo estremo che non sarebbe mai dovuto andare in scena. «Fa impressione — spiega Crescenzo Cioffi, un pensionato delle Poste —, perché questo spiegamento di forza dimostra che eravamo arrivati al punto di non ritorno». San Benedetto è una contrada che nel tempo è stata ingoiata dalla città. Il centro direzionale è diventato uno dei posti importanti di Caserta, ospita le aule della facoltà di medicina e chirurgia, e poi gli uffici del tribunale. Ma intorno ad esso ci sono case basse e villini a schiera, come in un paese, attraversato da via Ferrarecce, un rettilineo lungo un chilometro. Racconta Cioffi, che guida un combattivo comitato di quartiere: «Quando è cominciato, quasi un mese fa, abbiamo pensato di portare la "schifezza" sulla strada principale, per tenere libero l'ingresso alle nostre case. "Tanto non può durare" dicevamo. Errore». È durata quasi un mese, un tempo infinito se trascorso in mezzo a miasmi e cumuli sempre più alti. Quello che resta è la disillusione, il senso di provvisorio che trasmette la visione dei soldati, gente di passaggio che in attesa di ripartire per Pec, Kosovo, affronta l'emergenza di Caserta, Italia. Quando se ne saranno andati, non resterà che padre Pio, sostiene Angela. La sfiducia nelle istituzioni è totale, nessuno immagina soluzioni definitive per il futuro immediato, ma solo un lungo «precariato della monnezza», come lo chiama Cioffi. La liberazione di via Ferrarecce non è una cosa semplice neppure per l'esercito. Le ruspe ruggiscono sulla rampa che porta a un garage. I rifiuti hanno riempito la discesa eliminando la pendenza e sommergendo anche il crocifisso in ferro battuto che ricorda come una volta in quel posto vi fosse la Santa missione dei padri passatisti. Dalla cima del Cristo al fondo della rampa c'è un dislivello di almeno sette metri, completamente riempito dalla monnezza. «Questa è dura» dice un ufficiale mentre dirige il lavoro delle due piccole escavatrici che cercano di farsi strada. L'unico strumento per smuovere alcuni punti del cumulo senza provocare crolli sono le mani. «Indubbiamente si tratta di un lavoro inedito e faticoso » sintetizza il colonnello Luca Appolloni. La periferia di Caserta è divisa in nove quadranti, ogni giorno ne vengono ripuliti tre. I camion fanno avanti indietro con l'area industriale dominata dalla vecchia ciminiera della Saint Gobain. La zona di scarico dovrebbe essere un segreto, ma l'aria irrespirabile è una bussola infallibile. Il posto è una scatola grigia con il tetto in lamiera verde nell'area della ex Ucar Carbon, dismessa dal 1989. È appena dietro i nuovi uffici della Provincia e il Crowne Plaza, un hotel di lusso aperto pochi mesi fa. Il capannone abbandonato è stato ribattezzato in fretta «sito di stoccaggio provvisorio» e verrà riempito con 2.500 tonnellate di immondizia. Quasi una nemesi. Il deposito dei rifiuti raccolti dall'esercito è accanto ai quartieri che più hanno protestato contro la discarica provinciale di Lo Uttaro. È stato uno dei ricorsi alla magistratura presentato da un comitato di zona a decretare la chiusura dell'impianto, segnando l'inizio del conto alla rovescia anche per Caserta. «È una beffa, ma che possiamo farci — dice il militante ambientalista Vincenzo Fiorillo —. La chiusura della discarica doveva essere un trionfo, è stata una Caporetto. Ormai, possiamo solo subire e rassegnarci al peggio». I ragazzi che inseguono i camion dell'esercito con il motorino scandiscono slogan cattivi sui napoletani, di tono quasi leghista. «Noi siamo di serie B — dice Nico —. Sembra che esistono solo loro». La solidarietà nazionale sull'immondizia finisce già in Campania, alle opposte estremità dell'Asse mediano, la strada perennemente congestionata che attraversa una periferia infinita collegando le due città. Anche Nicodemo Petteruti, ingegnere strutturista, da 18 mesi sindaco di Caserta, si sente figlio di un'emergenza minore. «Una città di ottantamila abitanti non può essere abbandonata per concentrare le attenzioni sul bene principale. Non esiste solo Napoli». L'arrivo dell'esercito segna soltanto una pausa, è una dimostrazione di forza che maschera la debolezza. «Un intervento di assoluta emergenza nell'emergenza. Stiamo ripulendo gli arretrati. Ma servono soluzioni definitive, che non riesco a intravedere all'orizzonte». Appena fuori Caserta, frazione Casapulla, su un prato davanti alla scuola primaria Eduardo De Filippo c'è una distesa sterminata di rifiuti, ancora intonsa, così alta da impedire la vista della strada che porta a Maddaloni. «Non finisce mai, non finisce mai» si lamenta il sindaco. «Anch'io comincio a credere che ci possa salvare solo un miracolo». Quasi una resa. Dopo l'esercito, non resta che padre Pio.

 
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