Lo scrittore Marcello D'Orta domani, 31 gennaio, a Santa Maria Capua Vetere per la presentazione del volume edito dall'assessorato alla Cultura della provincia di Caserta A Santa Maria «di Capua» lavoravano tutti: un centro con un indotto commerciale che si distingueva nel Regno e con il quale la stessa Caserta non poteva reggere il paragone. Sono alucni dei particolari che emergono dallo studio dei Catasti del 1750 confluiti nel secondo volume della collana storica su «I Catasti Onciari» dei Comuni di Terra di Lavoro dedicato alla storica città di Santa Maria Capua Vetere. Il secondo volume della collana verrà presentato oggi alle 18 presso l’«Istituto Aveta – Suore di Pompei» a Santa Maria Capua Vetere. Ospite della manifestazione sarà lo scrittore napoletano Marcello D’Orta (autore di «Io speriamo che me la cavo», libro venduto in 4 milioni di copie) che relazionerà dopo il saluto del presidente della Provincia Riccardo Ventre, dell’assessore provinciale alla Cultura Nicola Garofalo e del consigliere provinciale Antonio Mastroianni. La rivisitazione dei rari elenchi della metà del Settecento è stata curata da un agguerrito ed entusiasta gruppo di studio che ha ricostruito e proposto l'anagrafe, le storie, i costumi, le tasse, l'economia e qualche curiosità di comunità locali. L'assessore Garofalo, ha definito la collana «una fonte di storia e al tempo stesso una guida pratica di facile consultazione per ogni lettore che voglia ricercare le proprie origini». L'opera, che si articolerà in un volume per ogni città, permette, attraverso l'attenta e scrupolosa indagine condotta sui comuni di Terra di Lavoro, di rivedere luoghi mutati o miracolosamente sfuggiti alla modernizzazione, fatti sepolti dal tempo e mestieri oramai scomparsi. Non manca un'affascinante raccolta di aneddoti e curiosità sulle famiglie, con l'età e le attività dei componenti, i matrimoni ed i lutti o i successi e le sfortune degli stessi. A Santa Maria, si legge nel libro, i mulini macinavano di tutto (segala, orzo, granturco), i commercianti (bottegari) erano a decine e l’attività primaria era la produzione ed il commercio delle pelli. Non mancavano i maestri d’arte che vivacizzavano il borgo mentre c’era una forte presenza di medici («applicati alla chirurgia») notai, professionisti e farmacisti («speziali di medicina») e persone che si «permettono il lusso di mandare nipoti e figli a scuola a Napoli». Contrariamente a Caserta, la popolazione di Santa Maria di Capua non era affatto legata alla terra: i braccianti erano meno della metà mentre si raddoppiavano tutti gli altri mestieri del borgo.
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