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BERNARDINI, CAMORRA A ROMA: L'HA LETTO SU PANORAMA DELLA SCORSA SETTIMANA

La notizia sui negozi del centro storico di Roma che sarebbero in mano alla Camorra - di cui ieri, 17 agosto, ha parlato la segretaria dei Radicali, Bernardini - non è una novità. La settimana scorsa, prima della conferenza stampa della Radicale, un articolo di Panorama - pubblicato di seguito - ne aveva già parlato. Secondo il settimanale, anche la famosa discoteca dei piazza di Spagna, Gilda, è stata per un periodo di proprietà di Antonio Iovine, latitante casertano ricercato a livello internazionale.


Roma (dal settimaanale Panorama n°32 agosto / 2007 - di Carlo Puca) - Potevano catturarlo. L’informazione arrivata alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli era precisa: Antonio Iovine, detto ’o Ninno, il Neonato, era mimetizzato nel centro di Roma, nel triangolo d’oro compreso tra piazza di Spagna, il Pantheon e piazza del Popolo. Luoghi simbolo di opulenza, dove vivere costa parecchi denari, soprattutto da latitante. Ma a Iovine i soldi non mancano. Classe 1964, è il viceré con delega alla spazzatura della cupola dei Casalesi, i boss della zona di Casal di Principe, che comprende pure la natia San Cipriano d’Aversa. La cupola è forte di un budget calcolato tra i 100 e 120 miliardi di euro, ma adesso mostra qualche crepa. Pesano i colpi sferrati dal pubblico ministero Raffaele Cantone. Il 15 settembre del 2005 il processo Spartacus ha ferito l’organizzazione, che dal Casertano sta prosperando in mezzo mondo. Spagna, Russia, Romania, Polonia, Ungheria, Lussemburgo, Tunisia, Australia, Sud America, Parma, Veneto, Milano... Dalla mappa dei boss finora mancava soltanto Roma. Secondo le informative in mano alla Dda di Napoli sono arrivati pure lì. E non da soli. La camorra non è la mafia, che tutto gestisce assieme. Nella camorra ogni clan fa per sé, le alleanze sono rare e i patti di collaborazione durano il tempo della tattica, mai della strategia. La criminalità organizzata campana è salita a Roma in ordine sparso, carica di soldi da riciclare. E da reinvestire. Eppure, la capitale che conta, quella che abita nei palazzi del potere, finge di non vedere. Gli imprenditori parlano soltanto di microcriminalità, la politica tace addirittura. Tranne rare eccezioni, come nel caso della voce solitaria di Luigi De Ficchy, sostituto procuratore della Dna, persino la magistratura tiene bassa la tensione investigativa. Gran parte delle inchieste anticamorra partono dal Vesuvio, mica dalla capitale. Italo Ormanni, coordinatore della Dda di Roma, ha pochi mezzi a disposizione e già fa miracoli. Però poi accadono cose surreali. Come a Roma, dove il Ninno incappa in un controllo ordinario delle forze dell’ordine ma, arrivederci e grazie, se ne va via libero. Gli agenti tornano alla centrale e si accorgono che la sua foto segnaletica è in bacheca insieme a decine di altre: per strada non lo avevano riconosciuto. Iovine non è uno qualunque, è uno dei dieci latitanti più pericolosi d’Italia. E sta forse per affermarsi come il più potente tra i Casalesi ancora in libertà. La novità è che Spartacus sta dividendo la cupola. Francesco Schiavone, detto Sandokan, il monarca assoluto, è in galera. Sta scontando l’ergastolo come altri 18 subcomandanti, compreso il temibile Francesco Bidognetti. Di quel processo due condannati risultano ancora inafferrabili. Uno è appunto il Ninno. L’altro è Michele Zagaria, alias Capastorta, diventato dopo l’arresto di Bernardo Provenzano il latitante più pericoloso d’Italia. Zagaria viene considerato il comandante in campo dei Casalesi, il viceré con delega alle grandi opere, espansosi verso Nord con i cementifici di famiglia lungo il tracciato dell’alta velocità che da Napoli porta a Roma. Il Ninno e Capastorta sono spariti insieme, per la precisione il 5 dicembre del 1995. Per più di un decennio hanno filato d’amore e d’accordo. Ma il 22 giugno del 2006 qualcosa è cambiato. Un’inchiesta dei Ros dei carabinieri porta al sequestro di beni valutati circa 50 milioni di euro e a 27 ordinanze di custodia cautelare. L’effetto collaterale è soprattutto il taglio dei legami di Zagaria con i circuiti politici e imprenditoriali «puliti», provati da decine di intercettazioni. Sicché Iovine si rafforza, diventa lui il referente di nuovi e simili circuiti. E grazie a un accordo blindato con la famiglia di Sandokan prende a comportarsi da nuovo comandante in campo. Al punto che la reazione del clan di Capastorta è violenta: nuove minacce alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, massima esperta di Casalesi; un piano per uccidere il pm Cantone sul modello della stragi di Cosa nostra; colpi di pistola sparati contro l’abitazione di Iovine. Un segno di sfida. E allora: perché il Ninno, potenziale nuovo Provenzano, uomo dai mille contatti planetari, sceglie di fare la latitanza a Roma invece che altrove? Innanzitutto va considerato il pregresso. Iovine ha posseduto la discoteca Gilda, storico ritrovo della Roma bene. Ha tentato, insieme alla (allora?) cupola, di scalare la squadra di calcio della Lazio, riciclando 21 milioni di euro provenienti dall’Ungheria. Ancora: è provato il suo passaggio nell’azionariato di alcune attività commerciali, generalmente di ristorazione e di importazione dalla Campania di latticini, uova e pollami, attività utili al riciclaggio di denaro sporco. Corrado De Luca, condannato a 30 anni per Spartacus, ufficialmente era titolare del ristorante romano Il destriero. Transitano per alcuni concessionari di Roma anche le vetture degli autosaloni di Sandokan. Inoltre, un parente del Ninno ha completamente spostato su Roma il suo core business, quello dei videogiochi. Il suddetto parente si chiama Mario Iovine ed è soprannominato Rififì, dal titolo del libro di Auguste Le Breton capostipite del «romanzo di mala». Il romanzo della camorra a Roma lo stanno scrivendo gli investigatori di Napoli. Indagano su una catena di ristoranti, un sito di scommesse online, una società immobiliare e un paio di finanziarie di medie dimensioni, per non dare troppo nell’occhio. E poi autosaloni, negozi di abbigliamento, società di servizi alberghieri. E un celebre hotel al centro di discutibili incontri tra parlamentari e imprenditori in odore di criminalità. È la marcia su Roma della camorra. La tesi è che il Ninno abbia creato nella capitale una sua base operativa con un duplice obiettivo: esportare i soldi sporchi e svolgere attività di rappresentanza con la politica. A Roma ci sono precedenti illustri, già negli anni Ottanta e Novanta i boss Raffaele Cutolo e Ciro Mariano riuscirono a chiudere affari con i partiti e le istituzioni. A Iovine l’impresa è già riuscita in Campania: le varie inchieste sui rifiuti killer dimostrano come i Casalesi siano riusciti ad accomodarsi nella politica, dal Prc ad An, grazie a prestanome e conniventi. I rifiuti, appunto: per la magistratura la gestione camorristica delle discariche illegali nel Basso Lazio è ormai un dato acquisito. Lo è meno per Frosinone, Viterbo e Rieti, città dove però ogni anno Legambiente denuncia la scoperta di nuovi siti letali. E nel 2005, a Riano, alle porte di Roma, la forestale scovò in una cava abbandonata circa 1000 fusti di sostanze tossiche interrate che stavano rovinando le falde acquifere: sono fusti terribilmente uguali a quelli rinvenuti nelle vasche della morte del Casertano. Se le indagini confermeranno il «link», proveranno l’approdo dell’ecomafia campana fin dentro il cuore della campagna romana. D’altronde il viaggio verso nord della camorra non riguarda soltanto i rifiuti e non soltanto i Casalesi. La mappatura dei clan campani presenti nel Lazio fa impressione (vedere riquadro a pagina 27). Racket, droga, rifiuti, riciclaggio, affari. In pratica, un accerchiamento alla capitale, finita nel centro del bersaglio. Ed espugnata. Non a caso, quando in Campania le guerre per la conquista di nuovi territori si fanno pesanti, o la polizia intensifica i controlli, i capiclan trovano rifugio nella capitale, dove possono contare su una rete di affiliati e solide strutture imprenditoriali. Vale per il Ninno, ma anche per altri che hanno avuto minor fortuna. Il 26 febbraio 2006 i carabinieri del comando provinciale di Napoli hanno arrestato, a due passi dal Colosseo, Emiliano Zapata Misso, reggente del clan di famiglia al rione Sanità. L’8 novembre 2006, su mandato della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, è invece finito in manette Salvatore Zazzo, il boss del quartiere Fuorigrotta. Anche sul litorale romano tra Fiumicino e Anzio, passando per Ostia, una municipalità di Roma, i camorristi proliferano. I Cozzolino, i Contini, gli Abate si sono integrati con la popolazione locale e hanno stretto alleanze con la ’ndrangheta delle famiglie calabresi Morabito-Mollica e Gallace-Novella per la gestione del mercato della cocaina. Di più: «Le consorterie» segnala la Direzione investigativa antimafia «esercitano in modo sistematico tutte quelle attività tipiche della propria terra d’origine, quali usura, estorsioni, omicidi, arrivando a imporre il pizzo ai delinquenti locali sui proventi dell’attività criminale». Prima che la faida con i cosiddetti scissionisti rallentasse i loro affari, pure i Di Lauro di Scampia smerciavano grandi quantitativi di droga a Roma e Napoli, attraverso il porto di Civitavecchia, grazie a doganieri compiacenti. Ancora lo scorso 2 luglio la Dda di Napoli ha scoperto che un clan affiliato con i Di Lauro, quello di Adolfo Danier, meglio conosciuto come «il Falco», stava importando circa 250 chilogrammi di cocaina purissima dalla Colombia. Sempre a Civitavecchia, il porto più importante presso Roma, si è insediata la terza generazione dei Gallo-Cavalieri di Torre Annunziata. Romualdo Rosario Gallo, il rampollo del clan, è stato arrestato con altre otto persone il 26 luglio mentre festeggiava, pistola sul comodino, la sua prima notte di nozze in un albergo con vista porto. Il 16 giugno erano invece stati fermati alcuni esponenti della criminalità locale. E nelle motivazioni della custodia cautelare si spiega che c’era una convergenza tra i due gruppi: «Il clan Gallo aveva stabilito una cellula logistico-operativa sull’asse Civitavecchia-Ladispoli allo scopo di avere l’egemonia dei traffici illeciti diretti e indiretti»: appalti per il porto, racket, controllo dello spaccio e della prostituzione, traffico di armi. Poi c’è il mercato dei falsi. Molti prodotti arrivano nei negozi dell’Esquilino e nei mercati di Roma direttamente dal Vesuvio, ovvero da Terzigno e San Giuseppe, paesi alle pendici del vulcano. Qui opera il clan Fabbrocino, leader nazionale del tarocco. Invece di complicate importazioni da Pechino, l’organizzazione ha scelto di produrre in loco: sono circa 5 mila i cinesi che vivono tra Terzigno e San Giuseppe Vesuviano. E la distribuzione a Roma è garantita proprio dal patto tra la camorra e le mafie emergenti, come quella cinese e (in subordine) nigeriana. A inizio luglio l’Osservatorio sulla legalità della Regione Lazio ha prodotto uno studio sulla percezione della sicurezza. Il 54,1 per cento dei laziali ritiene che nella propria provincia vi siano infiltrazioni della criminalità organizzata. D’altronde non ci sono solo i grandi affari, la Roma criminale e organizzata ostenta segnali anche «dal basso». Negli ultimi mesi è invasa da abusivi napoletani: parcheggiatori, ambulanti, tassisti, persino mendicanti. Segnali che tendono a essere sottovalutati. Perché è vero che Roma non è Napoli e non c’è lo stesso humus sociale. Ma lo dicevano anche nel Basso Lazio e in Ciociaria. Poi ha vinto la camorra.

 
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