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ZANOTELLI SI LAMENTA DA FAZIO A RAI 3 E NOGARO FINISCE SUL CORSERA

Intervistato da Fabio Fazio, a Rai 3, nella trasmissione nazionale 'Che tempo fa', padre Alex Zanotelli, si era lamentato per la scarsa attenzione, a livello nazionale, del caso riguardante la discarica Lo Uttaro. Lo scorso 29 aprile, ecco apparire un'intera pagina nazionale sul Corriere della Sera


Caserta (di Fulvio Bufi) - È un vescovo che si muove come un parroco, monsignor Raffaele Nogaro. A Caserta ci sono gruppi di cittadini che protestano perché non vogliono una discarica, e l'altro giorno se lo sono trovato lì, in mezzo a loro. A premere perché la polizia aprisse i cancelli e li lasciasse entrare nello sversatoio, a riempirsi le narici e lo stomaco di un fetore che dà il vomito. Se lo sono trovato accanto e nessuno si è sorpreso. Perché oggi il problema di quella gente di Caserta è la discarica, e quindi è normale che lui fosse lì. A sporcarsi la tonaca, se necessario. Come si è sporcato le mani con la polvere che si alza dai campi di pomodori, per difendere gli immigrati schiavi, o come si è sporcato l'immagine agli occhi di quei politici che non hanno mai gradito le sue parole contro le missioni italiane negli scenari di guerra. Lo amavano tutti quando alzava la voce solo contro la camorra. Era facile amarlo, allora. Caserta è territorio della camorra peggiore che c'è. Una camorra che è mafia. E che ha sporcato di sangue anche il sagrato di una chiesa. Era il 1994, e Don Peppino Diana, parroco di Casal di Principe, disse: «Per amore del mio popolo non tacerò». Lo fecero tacere sparandogli in faccia. Nogaro riconobbe subito, nelle illazioni fatte girare nei giorni e nei mesi a seguire — delitto passionale, sgarro a un clan in favore di un altro — quei veleni che solitamente le cosche usano per isolare chi è stato condannato a morte, per ucciderlo prima con le infamità e poi con il piombo. Con don Diana avevano invertito i tempi degli agguati ma l'obiettivo era lo stesso: ammazzarlo due volte. E siccome le indagini non riuscivano a cancellare le ombre, il vescovo decise di parlare: «Don Peppino è un martire della libertà», disse. E lo andò ripetendo finché le sentenze dei tribunali non gli diedero ragione. La camorra non apprezzò, certo, ma la Chiesa e lo Stato poterono gonfiare il petto, mettendosi al fianco di questo sacerdote pieno di coraggio e certezze. E quindi a nessuno venne da storcere il naso quando, diventato confessore di Raffaele Cutolo, lo definì «un uomo che suscita in me sentimenti di rispetto e di amicizia». Né quando corse in questura a Caserta a protestare perché nel cortile era stata messa una gabbia dove venivano rinchiusi immigrati clandestini e prostitute africane in attesa di essere identificati. E nemmeno quando di fronte alla morte in carcere di un pedofilo assassino disse: «Noi abbiamo il compito del perdono», piuttosto che parlare di giustizia divina. Confermava a ogni uscita la sua immagine di sacerdote coraggioso quanto misericordioso, monsignor Nogaro. E piaceva a tutti: alle autorità ecclesiastiche che ne apprezzavano il successo tra i fedeli, a quelle politiche che elogiandolo potevano far credere di essere anche loro in prima linea contro la camorra, e ai fedeli perché se lo ritrovavano sempre vicino. Oggi piace soprattutto ai fedeli. Forse solo ai fedeli. Perché di questo vescovo di quasi 74 anni — friulano e quindi testardo, e meridionale acquisito e quindi vivace e pieno di iniziative — tutti gli altri hanno dovuto imparare a conoscere il lato sovversivo. Quando chiama a raccolta i sacerdoti di Napoli contro il progetto di privatizzazione dell'acqua. Quando, di fronte alla legge Bossi-Fini sull'immigrazione, annuncia la disobbedienza civile: «Aprirò le chiese ai clandestini». Quando si schiera contro le missioni italiane in zone di guerra, e per questo si guadagna una lettera di Cossiga che lo accusa di aver «turbato e offeso quei parlamentari cattolici (...) che per la giustizia e contro il terrorismo, hanno votato a favore dell'intervento militare» E quando, dopo l'attentato contro i carabinieri a Nassiriya, finisce al centro di accuse politiche e prese di distanze da parte della Cei per aver detto che «quei ragazzi sono morti facendo la guerra». Così Nogaro piace sempre meno nelle stanze dove si gestisce il potere: politico, militare, religioso. E la battaglia contro la discarica gli vale nuovi nemici. Prima di unirsi ai manifestanti aveva invitato gli amministratori pubblici a schierarsi contro il progetto voluto da Bertolaso. «È paradossale che chi si impegna per ripristinare la legalità debba confrontarsi con autorità religiose», lo ha attaccato il capo della Protezione civile e commissario straordinario per l'emergenza rifiuti. E il segretario della Cei Betori ha fatto sapere subito da che parte sta: «L'affermazione della legalità, su cui insiste Bertolaso, è una cosa da condividere in assoluto». Nogaro non vorrebbe replicare ma poi lo fa: «Bertolaso ha assunto una posizione indegna, e purtroppo anche gli amministratori della mia città. Io soffro per loro, perché non si rendono conto che così calpestano e oltraggiano la città di Caserta. Ma come fanno a non capire che la discarica è legata alle cave a quindi al mondo della camorra?».(dal Corriere della Sera del 29 aprile 2007 - pagina 22)

 
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