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CONCLAVE A CASERTA PENALIZZATO DALLO 'SFARZO' REGALE: LITIGIO RUTELLI-PRODI


(di Laura Cesaretti) - Sul piano dell’immagine, che in fondo era l’unico a contare davvero, il summit di Caserta non è stato esattamente un successo. La scelta della reggia borbonica, anche se assai fotogenica, si è rivelata un po’ ingenua perché ha trasmesso l’idea di una trasferta ingombrante e fastosa del governo, a spese del contribuente e con risultati di incerto valore per il Paese. E a Prodi è toccato difendersene anche nella conferenza stampa finale, sgolandosi a spiegare che non c’era alcuno sfoggio di “sfarzo” e che la sede del vertice era la scuola d’amministrazione, proprietà della presidenza del Consiglio. Palazzo Chigi si è adoperato per giorni, alla vigilia, per far sapere che i ministri avrebbero dormito in sobrie cellette monacali con lenzuola “di semplice cotone” e per di più usate, e mangiato cibi da mensa aziendale, pennette e spigole d’allevamento. Niente da fare, all’opinione pubblica la scelta della “reggia” non è andata giù, e l’opposizione ci sguazza chiedendo conto dei soldi spesi per trasferirci una quarantina di dirigenti politici con ampio seguito e scorte strombazzanti, e impressionanti misure di sicurezza. I casertani poi erano imbufaliti, per due giorni (feriali) le principali arterie cittadine sono state bloccate per ore dall’evento e quando finalmente le interminabili code di macchine venivano liberate più di un automobilista sfrecciava davanti alla reggia gridando improperi contro il governo. Ma anche sul piano del messaggio politico le cose non sono andate un granchè: sui temi davvero importanti si è litigato assai per poi accantonarli, i giornali hanno dipinto un Prodi frenatore su pensioni e liberalizzazioni, lo scontro sulle riforme tra le diverse anime della coalizione è tornato immutabile a galla, Bersani si è accapigliato con la Margherita e Di Pietro con Pecoraro e la Bindi con la Pollastrini e Boselli ha annunciato la “cocente delusione” di chi sperava in qualche scelta innovatrice anzichè nell’eterna politica del rinvio. E alla fine le decisioni prese dal primo Consiglio dei ministri in trasferta sono state tali da chiedersi se valeva la pena di farsi due ore di autostrada per annunciarle: una bella pioggia di miliardi sul Mezzogiorno (stanziamento per altro già varato da tempo, ma durante uno sciopero dei giornali e quindi riciclabile come novità) e l’istituzione di un’agenzia per la cooperazione allo sviluppo presso il ministero degli Esteri. Persino la conferenza stampa finale del premier, evento clou dal punto di vista mediatico, è slittata di un paio d’ore perché i ministri non riuscivano a mettersi d’accordo sul documento conclusivo: Prodi voleva ribattezzarlo “il Manifesto di Caserta” ma in molti lo hanno invitato a soprassedere (“Mi pare un po’ troppo impegnativo come termine”, ha obiettato sarcastico Gentiloni), anche perché il testo iniziale, sei paginate di elencazione di temi programmatici cui tutti volevano aggiungere o togliere qualcosa, sono state alla fine trasformate, grazie all’altolà di Rutelli, in una cartellina di dieci punti, tutti vaghi al punto da non poter sollevare le obiezioni di nessuno, compresa la “modernizzazione del welfare” che dovrebbe comprendere anche le pensioni. E il conclave è finito lì, con strascico di battibecco sulla “cabina di regia” per le liberalizzazioni, annunciata da Rutelli per bloccare il protagonismo di Bersani, smentita seccamente da Prodi (“nessuna cabina di regia, farò io la sintesi politica”). Smentita poi attenuata da Palazzo Chigi, che ha confermato la necessità di un coordinamento sulla materia, su richiesta dello stesso Rutelli: “Non conviene neppure a te che sui giornali di domani passi l’immagine del premier che smentisce il suo vice”, ha fatto notare a Prodi. Che ha capito che in effetti, visto il già debole successo mediatico del conclave, era meglio non mettere altra legna sul fuoco. (13 gennaio 2007-09:33)

 
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