In contrasto e con meno ipocrisia di tante voci, dichiarazioni e reazioni accomunate tra loro, a metà ottobre vedi qui avevamo dato una nostra opinione su Gomorra, il libro di Roberto Saviano (per carità, onore alle vendite...) e la spettacolarizzazione del caso-scorta. Ieri, su Magazine, settimanale del Corriere della Sera, lo scrittore Alessandro Piperno, parla del caso del giornalista-scrittore dicendogli: 'sei un esibizionista'. Di seguito il testo.
C'ERAVAMO ACCORDATI all'inizio della scorsa estate per un piccolo tour nelle sue terre. lo e Roberto Saviano. In quella circostanza mi avrebbe mostrato
i suoi posti e avremmo parlato un po' di letteratura, discorrendo sulle mIlle cose che ci distinguono e sulle microscopiche affinità. Tutto questo per il
settimanale che c'avesse ospitato, o altrimenti per NuoviArgQmenti (nella cui redazione io e Saviano ci siamo conosciuti). Avevamo ironizzato sul fatto
che gli abiti adatti all'abbisogna me li avrebbe forniti lui. Tale idea nasceva da nostre convergenti esigenze. Lui era un po' irritato di essere stato
percepito da una certa stampa superficiale come una sorta di Madre Coraggio. lo dal chiacchiericcio di alcuni nostri trascurabili colleghi che, durante
una sera mondana, per esorcizzare il lutto del successo di vendite e di critica di Saviano, avevano liquidato Gomorra come un ottimo reportage assai
ben informato" Poi ci si è messa la Camorra, e il nostro prog~tto è naufragato. A scanso di equivoci vorrei contestare la teoria espressa la scorsa
settimana su Magazine dal mio benefattore Antonio D'Orrico secondo cui stavolta la letteratura sarebbe riuscita, attraverso Saviano, laddove
solitamente le istituzioni falliscono: infliggere un colpo alla camorra. A intuito darei più credito alle istituzioni e un po' meno ai libri. Non sono un
intenditore di camorra ma dubito che essa si lasci turbare da una cosa inutile e bella come la letteratura. Credo che la camorra si sia svegliata a causa
del successo di Gomorra, di alcune esternazioni di Saviano e di un'esposizione mediatica che infastidirebbe qualsiasi organizzazione criminale. Tutto
qui. Ecco perché quella della scorta mi sembra le questione meno interessante della vicenda, anche se la più emotivamente spettacolare.
DIO, COME GLI INVIDIO L'EUFORIA
Ciò che mi preme è lo stile. In nome del quale forse è venuto il tempo di dimenticare la camorra. C'è chi accusa la scrittura di Saviano di enfasi,
sciatteria e d'un eccesso di ripetizioni. Molti sprovveduti credono che «scrivere bene» sia la prerogativa necessaria per essere definiti scrittori. In realtà
è l'ultima delle qualità importanti, e talvolta può essere addirittura di intralcio per uno di quei pochi autori che la natura ha fornito del dono. Guardate
la Francia di oggi: è piena di gente che scrive bene, ma avesse uno scrittore degno della sua tradizione. Chi ha tante cose da dire, le dice e basta, con
foga pasticciona (penso a scrittori del passato come Stendhal o a pittori accusati di non saper disegnare, come Tintoretto). Chi può negare che Saviano
abbia un sacco di cose da dire e che la sua scrittura frammentaria e quel tono da cronista euforico (Dio solo sa quanto gli invidio quell'euforia!) sia
magistralmente consustanziale al disegno di Gomorra.
Quale disegno? Quello di delimitare i confini di un inferno in cui i demoni curano i propri affari in un modq così puntiglioso e scientifico che verrebbe
voglia di rimettere in discussione tutti i laceri cliché sui campani. Ma ecco che anch'io mi smarrisco nei fascinosi labirinti di Gomorra.
Torniamo al punto. Le cose che contano per chi scrive sono essenzialmente tre: ritmo, tono, visione.
Per darvi l'idea del ritmo della frase di Saviano e del suo tono vorrei offrirvi un esempio:
«La coca si è emancipata dalla categoria di sballo, diviene sostanza usata durante ogni fase del quotidiano, dopo le ore di straordinario, viene presa per
rilassarsi, per avere ancora la forza di fare qualcosa che somigli a un gesto umano e vivo e non solo un surrogato di fatica. La coca viene presa dai
camionisti per guidare la notte, per resistere ore davanti al computer, per andare avanti senza sosta a lavorare per settimane senza nessun tipo di
pausa. Un solvente della fatica, un anestetico del dolore, una protesi alla felicità».
Anzitutto notate come la cadenza di questa frase sia perfettamente sincopata: nessuna interruzione, nessuna incertezza, abolizione del superfluo.
Tutto in Saviano deve essere naturale: ogni ricercat,ezza suonerebbe come una stonatura rispetto alla nudità che i fatti reclamano. D'altra parte tutto
viene raccontato senza partecipazione, come un dato di fatto che non merita di essere giudicato. Qualcuno ha affermato che Saviano flirta con il male,
mostrandosi talvolta persino simpatetico. E lo ha detto come se fosse un difetto.
Ma a ben pensarci questa è la qualità oscura di Gomorra.
Saviano raccoglie la lezione della Arendt secondo cui per comprendere il male bisogna sapere che esso ci riguarda, che esso è normale e talvolta
perfino seducente. Altrimenti perché così tanta gente lo praticherebbe? Per capire di cosa è fatta la merda bisogna affondarci dentro le scarpe.
Quelle di Saviano sono completamente inzaccherate. Questo sodalizio con il male - solo talvolta interrotto da frustrate di sentimentalismo - dona a
Gomorra un tono oscillante tra la scabrezza di chi se ne frega del giudizio etico e certi commoventi istanti di abbandono.
Ma torniamo alla frase incriminata. Guardate come dopo aver spiegato come la cocaina abbia cambiato statuto sociale, Sa via no usi tre immagini
enfatiche per illustrarci la condizione di chi ne fa un uso abituale. «Un solvente della fatica, un anestetico del dolore, una protesi alla felicità». Tre
istantanee che esprimono l'artificiosità del subumano stato del cocainomane.
UN'IDEA CALVINISTA DEL SUCCESSO Ho un'idea calvinista del successo: lo ottiene chi lo merita. C'è una ragione per cui Saviano ne ha avuto così
tanto rispetto a coloro che si sono cimentàti con lo stesso tema. E questo motivo è l'altissima intensità della visione. Lui è uno dei pochi scrittori italiani
ad averne una. Quando Saviano vinse il Premio Viareggio, una giornalista, stravolgendo un mio giudizio, chiese a Saviano: «Ma è vero che Piperno dice
che lei è un mitomane?». Saviano mi chiamò e mi disse che ci mancavano solo gli amici a rompergli i coglioni. Anche se ben presto la sua furia si
sciolse in una risata. A tutt'oggi sono pronto a sottoscrivere il giudizio di allora. L'impegno civile in letteratura è una forma di esibizionismo che non
mi scalda (eppoi lo trovo COM sì esteticamente diseducativo!). Credo che esista qualcosa di più vero della mesta e banale verità dei fatti. Ed è quella che
chiamerei la verità della visione, a cui ogni scrittore aspira ma che pochi raggiungono, e solo attraverso il distorcente diaframma del mito. Saviano
proprio perché ciò che dice è vero è un costruttore di miti. Perché, anche se può sembrare una me.
diocre banalità, non c'è nulla di più epico della verità. Dal che si evince che la mito mania è la griffe d'un artista: ciò che rende inconfondibili i mondi di
Scorsese e di Tarantino: ciò che trasforma un fatto trascurabile in un'avventura emblematica.
TI regno di Saviano gli appartiene completamente, è totalI mente suo, ha confini che lui ha delineato e che solo lui può violare. Tale piccolo regno ha
una sua legge, un profumo in.
confondibile, un'ermetica autosufficienza nonché una sua specifica pietrificata verità.
Non è questo ciò che chiediamo alla letteratura?
(Alessandro Piperno - da Magazine / Corriere della Sera del 2 novembre 2006)
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