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CASERTA, OMICIDIO DELL'89: DUE PENTITI FANNO ARRESTARE 3 BOSS


Fu assassinato per ordine dei vertici del clan dei Casalesi perché diventato "inaffidabile" sia perché faceva uso di droga sia perché si era messo a fare affari in proprio, commettendo reati nella zona di competenza dell'organizzazione. I magistrati della Dda di Napoli hanno fatto luce su un episodio di lupara bianca di cui fu vittima nel giugno del 1989 Salvatore Vitale: tre le ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Pierluigi Di Stefano ed eseguite dai carabinieri. A consentire la svolta nelle indagini, le dichiarazioni di due pentiti, Raffaele Ferrara (che si è autoaccusato del delitto) e Luigi Diana (ex esponente di spicco del clan e da pochissimo tempo divenuto collaboratore di giustizia). Il primo ha anche consentito il rinvenimento dei resti di Vitale in un terreno a Giugliano, il comune del Napoletano dove avvenne il delitto. Destinatari del provvedimento sono Francesco Bidognetti, ritenuto ai vertici del clan dei Casalesi, Domenico Feliciello, 'capozona' a Parete (Caserta) per conto dello stesso clan, e Giancarlo Di Sarno, esponente del gruppo di Parete, tutti accusati di omicidio pluriaggravato, detenzione di armi ed occultamento di cadavere. Per gli stessi reati è indagato in stato di libertà lo stesso Raffaele Ferrara. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Feliciello decise l'eliminazione di Vitale che considerava ormai inaffidabile e chiese ed ottenne da Bidognetti il 'placet' per compiere l'omicidio, affidando l'incarico a Ferrara e Di Sarno. Il primo attirò in una trappola Salvatore Vitale e, facendogli credere che dovevano compiere insieme una rapina, gli sparò a bruciapelo alcuni colpi di arma da fuoco. Fu poi aiutato dal padre, Angeloantonio Ferrara (indagato per occultamento di cadavere), a sotterrare il cadavere in un terreno tra Giugliano e Parete.

 
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