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EX SISDE BRUNO CONTRADA RIFIUTA CIBO IN CARCERE MILITARE S. MARIA C.V.


"La detenzione è una condanna a morte, sebbene dilazionata nel tempo". Sono le parole amare che Bruno Contrada, ex numero due del Sisde di Palermo, che sconta nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) una condanna a 10 anni per concorso in associazione mafiosa, ha scritto al suo legale, l'avvocato Giuseppe Lipera, del Foro di Catania. Il penalista nei giorni scorsi ha presentato istanza di scarcerazione dell'ex funzionario di polizia, adducendo una serie di consulenze mediche che proverebbero l'incompatibilità delle sue condizioni di salute col regime carcerario. La richiesta è stata respinta dall'ufficio di sorveglianza campano. Ma il difensore non ha accettato il "no" dei giudici e ha rilanciato, annunciando la decisione di chiedere la revisione del processo. Ammalato, depresso, Contrada, da 24 ore, rifiuta il cibo perché gli alimenti che gli passano in carcere non rispetterebbero la dieta che gli è stata prescritta dai medici. "Soffre di una grave forma di diabete e gli è stata indicata una dieta particolare. - spiega il legale - Ha perso undici chili, è vecchio e malato. Mi sembra evidente che sta andando incontro a una forte crisi depressiva perché è un martire che da quindici anni combatte contro i mulini a vento. Per questo ha pensato 'mi vogliono fare morire', allora io mi faccio morire da solò". 'Non tutti gli italiani - scrive Contrada al legale - sanno che la morte viene irrogata a condannati, spesso colpevoli e talvolta innocenti, non soltanto in unica ed istantanea soluzione, con una iniezione letale o con una scarica elettrica o con un cappio al collo o con un proiettile nella nuca; essa e' anche inflitta, non istantaneamente ma nel tempo, con ceppi inutili ed inumani su corpi martoriati dalle infermità e dalla senilità molto vicini all'ultimo passo". L' ex funzionario, che ha 76 anni, sta scontando la pena in carcere, nonostante l'età, perché una norma introdotta da una legge del 2005, stabilisce che gli ultrasettantenni possono ottenere la detenzione domiciliare o in un luogo pubblico di cura, escludendo però chi sia stato condannato per reati di mafia. (18 dicembre 2007-2007)

 
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