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*TERAMO, VICENDA FAURISSON. MASTER MATTEI, PARLA IL PROF. MOFFA*


Giovanna Canzano

intervista

PROF. CLAUDIO MOFFA

Master Enrico Mattei
“In questa vicenda in effetti hanno giocato due fattori: l’uno esterno, rappresentato dalla lobby ebraica e da alcuni suoi diretti referenti nel centrosinistra. L’altro interno, i colleghi che hanno approfittato della vicenda Faurisson per scatenarsi in un assalto al master...” Claudio Moffa

CANZANO. Il master sospeso per un anno. Cosa ne pensa?
MOFFA. Personalmente è una liberazione, nel senso che l’idea di trasferire il master a Roma la coltivo da mesi: troppi disagi non solo per me ma anche per i docenti e gli iscritti che vengono da fuori l’Abruzzo. Ma in quanto docente dell’Ateneo di Teramo, penso che sia stato da una parte un ennesimo caso di mobbing nei miei confronti e dall’altra una decisione molto grave, completamente sbagliata, attraverso la quale la mia Facoltà ha nei fatti ottemperato al diktat dei settori oltranzisti della comunità ebraica di chiudere un corso di studi a lei sgradito. E’ spiacevole ammetterlo, ma lo scarno comunicato del Preside Pepe: il master chiude “perché non coerente con la politica della Facoltà”, esprime, oltre a una forma preoccupante di fascismo accademico, proprio questo fatto. E tutto questo è avvenuto dopo un segnale importante di apertura di uno dei firmatari del documento Gattegna-Mantelli, il professor Nicola Tranfaglia, che a Controcorrente su Sky si era dichiarato favorevole a un contraddittorio a Teramo con il professor Faurisson. Un atto di liberalità, di serietà professionale per uno storico, e di coraggio dati i tempi. Ma quando annunciai la novità a Pepe, l’unica risposta che ho avuto è stata: “anch’io conosco Tranfaglia”. In questa storia sono convissuti assieme ai grandi principi anche sentimenti di concorrenza. Pepe è uno che ha la fissa dell’elite culturale del centrosinistra, lui va in vacanza sempre a Capalbio da almeno una decina d’anni. Guai a rubargli il primato della conoscenza del professor Tranfaglia…

CANZANO. Lei è stato però accusato di “gravi violazioni” nella gestione del master Enrico Mattei.
MOFFA. E’ stata forse questa la motivazione ufficiale della chiusura del master? No di certo, e il comunicato stampa lo conferma. In realtà non ho commesso alcuna grave violazione, ho commesso solo sciatterie, imprecisioni, che peraltro risultano esistere per tutti i master, come è stato sottolineato da alcuni colleghi in Consiglio di Facoltà. Per esempio è stato detto che avrei dovuto chiedere l’autorizzazione del Consiglio scientifico per la scelta dei docenti. Ma non è affatto vero, perché ai sensi dei regolamenti di Ateneo, al Consiglio scientifico spettano solo compiti di “organizzazione e coordinamento della attività didattica”. Le norme di Ateneo sono talmente carenti e contraddittorie che in un regolamento si dice che la Commissione d’esame dei master deve essere eletta dal Consiglio del Corso di laurea, e in un altro dal Consiglio scientifico del master. Tutto questo vuol dire che le accuse di “gravi violazioni” sono state solo l’anticamera diffamatoria per un provvedimento di natura politico-personalistica: non c’era alcun motivo reale per chiudere il master, completamente autosufficiente dal punto di vista economico grazie all’alto numero di iscritti, e con 8 richieste di adesione già avanzate da laureati di diverse città d’Italia per l’edizione 2007-2008.

CANZANO. E allora come nasce l’accusa di “gravi violazioni”?
MOFFA. Perché tutto fa brodo per l’obbiettivo della chiusura del master, già deciso dopo gli attacchi della comunità ebraica. E perché comunque le accuse sono il precipitato di uno stato di mobbing interno, che riguarda la mia attività di docente non da adesso ma da anni. In questa vicenda in effetti hanno giocato due fattori: l’uno esterno, rappresentato dalla lobby ebraica e da alcuni suoi diretti referenti nel centrosinistra. L’altro interno, i colleghi che hanno approfittato della vicenda Faurisson per scatenarsi in un assalto al master, in un primo momento con la storia dell’incredibile email agli iscritti, in cui si proponeva un mercato di titoli assolutamente illegale, poi, dopo il fortuito ritrovamento da parte mia di questo documento con un’azione in due fasi: il 20 giugno scorso la mia riconferma a coordinatore per l’edizione che si sta concludendo, il 3 luglio il colpo di mano della chiusura del master l’anno prossimo. Un iter procedurale zeppo di violazioni, queste sì gravissime.

CANZANO. Le violazioni dunque sarebbero dei suoi colleghi e del Preside. Quali violazioni?
MOFFA. Per rispondere bisogna guardare la vicenda dal punto di vista del “fattore interno”, e per farlo compiutamente si deve partire da un precedente che apparentemente non c’entra con le polemiche sul Master Enrico Mattei in Medio Oriente: una sentenza del Tribunale di Teramo, giudice Tommolini, conclusiva di un processo che mi ha visto imputato per tre anni con l’accusa di aver dato del “cesarista” a un collega per la sua gestione personalistica del Dipartimento (toh, la stessa accusa che hanno rivolto a me!), e di averlo diffamato per avere io sostenuto che aveva falsificato un verbale a mio danno assieme al segretario di Dipartimento, in una parte relativa a un Osservatorio sull’immigrazione da me inventato – un progetto internazionale per il quale avevo ottenuto dall’Unione europea circa mezzo miliardo delle vecchie lire – e per il cui lavoro di direzione avevo chiesto un emolumento. Un emolumento negato, da cui il contenzioso prima interno, poi sfociato in un aula di Tribunale dopo la mia scoperta di un verbale stracciato e firmato, sostituito con un verbale anch’esso firmato e archiviato come autentico ma evidentemente falso.

Tre anni di processo, i colleghi che sfilano a testimoniare, alcuni in modo formalmente corretto, altri dichiarando palesemente o il falso o cose assurde relative al modo di redigere e firmare i verbali. Alla fine il giudice conclude tre cose: che la mia richiesta di emolumento – si badi bene, per la strabiliante cifra di 6470 euro lordi per 15 mesi di lavoro – era legittima, come del resto già sancito da due decreti ingiuntivi del Giudice del lavoro e del Tar; secondo, che Mazzonis e Melasecchi avevano falsificato effettivamente il verbale, da cui il trasferimento degli atti alla Procura per il secondo, il primo essendo scomparso; e terzo che benché avesse ragione, Moffa era rimasto solo nella sua battaglia, con l’allora rettore Russi che anziché aprire un inchiesta sull’episodio del verbale aveva elogiato apertamente e arrogantemente l’inindagato operato del direttore del Dipartimento di storia e del suo segretario, e con i colleghi riuniti ad ascoltare il messaggio del Magnifico tutti zitti e proni di fronte alla sua autorità, tutti a dare addosso a Moffa il “calunniatore”, con tanto di mozione contro di lui redatta ancora prima dell’inizio della riunione. Un’infamia, un comportamento da mascalzoni omertosi, da associazione a delinquere. Un mobbing provato, recita esplicitamente, usando questo termine, la sentenza, sulla base di dati fattuali ineccepiBILI, da parte di Mazzonis.




CANZANO. Sì, ma tutto questo che c’entra con la vicenda del master?
MOFFA. C’entra: primo, alla riunione dell’infamia e dell’omertà erano presenti diversi colleghi protagonisti oggi della vicenda del master, primo fra tutti il professor Pepe, zitto come tutti, come sempre affabile e simpatica p(….)na pronta a obbedire al potente di turno. Ieri Russi, oggi la bolla Gattegna-Mantelli. Mi disse che tutto avveniva per il mio bene, come lo dice oggi col master: lui dottor Jekill mi starebbe proteggendo, forse da mister Hyde.
Secondo, la sentenza Tommolini viene depositata il 5 maggio 2007, e il 6 o 7 maggio ne carico gli estratti più significativi sul mio sito, un passo liberatorio per me dopo tre anni di ingiusto ruolo di imputato, mentre i colleghi si spartivano tutte le cariche d’Ateneo e tutti i posti di dottorato e di ricercatore. Sta ancora lì, sul mio sito personale.

CANZANO. E allora?
MOFFA. E allora, quello che accade poi, dopo il 5 maggio, è perfettamente coerente con la sentenza Tommolini, nel senso di reiteratorio delle stesse esatte pratiche di mobbing stigmatizzate nella sentenza. E’ in pratica la risposta della “legge” mafiosa delle “regole accademiche” alla legge dello Stato, un classico dell’Ateneo di Teramo: un iter procedurale persecutorio e minatorio contro il sottoscritto colpevole di essere stato …assolto!, e zeppo di illegalismi, di abusi, altro che le mie “gravi violazioni”!
I fatti? Primo, si avvia un procedimento istruttorio sul mio ruolo di docente e coordinatore del master, ma scavalcandomi completamente esattamente come mi aveva scavalcato Mazzonis nel 2001: il procedimento parte ma non mi si dice nulla, e questo in palese violazione della 241/90, che recita la necessità di comunicazione ufficiale e di audizione del soggetto-oggetto di procedimento: una volta mi sono presentato al Collegio consultivo chiedendo di parlare e spiegare le mie ragioni, ma mi hanno impedito persino questo passo e mi hanno fatto allontanare.
Secondo, il comunicato del 10 maggio – che rappresenta il via all’assalto del master e di Moffa, pochi giorni dopo la pubblicizzazione sul sito della sentenza: una sentenza ripeto, forte, che reclama giustizia per i danni subiti dal sottoscritto – esprime “allarme e preoccupazione” per la vicenda Faurisson, che all’epoca ancora non dominava i grandi mass media nazionali, ma solo le pagine de Il Centro di Teramo: ebbene, sarà un caso, ma la sentenza esprime nelle sue conclusioni “preoccupazione e allarme per una vicenda svoltasi in un Ateneo”. Una risposta, quella del comunicato? Un avvertimento all’imputato assolto, a non muoversi per reclamare il risarcimento per giusti danni da mobbing?
Terzo, si dà il via all’utilizzo-abuso del cosiddetto Collegio consultivo, che diventa in tutta questa storia praticamente il vero Consiglio di Facoltà, dove colleghi ordinari e associati decidono il piattino da presentare al vero Consiglio di Facoltà, completamente esautorato dalla gestione del caso almeno fino al 5 giugno, quando ormai il tam tam mediatico alimentato in prima persona da Pepe ha creato il clima giusto per iniziare a crocifiggere Moffa e il suo master.
Guardi un po’ l’assurdo: a me muovono accuse, molto fragili alla luce dei regolamenti di Ateneo, di mancanza di collegialità per la gestione del master. Nessuno però dice nulla per il fatto che la chiusura del master era stata decisa già prima del Consiglio di Facoltà del 3 luglio, come mi ha detto Pepe la sera del 2 a proposito dell’ultima riunione del Collegio cosiddetto consultivo: in questo modo, due colleghi ordinari che mi avevano difeso e soprattutto avevano difeso il master nel Consiglio del 16 giugno, sono stati emarginati e messi all’angolo. Uno nemmeno si è presentato al Consiglio del 3, ne conosceva già il risultato.

CANZANO. Però è vero che il master aveva suscitato riserve da parte di un gruppo di iscritti…
MOFFA. Vero, e ci stavo arrivando riprendendo la cronologia della vicenda. Dunque l’11 maggio stesso io rispondo al comunicato - diffuso alla stampa prima ancora di essere stato informato dell’avvio dell’istruttoria – annunciando di voler trasferire la lezione di Faurisson nel mio corso: voglio evitare infatti di impelagarmi in una discussione sulla mancanza di collegialità del master a pochi giorni dalla data fissata della conferenza, e col biglietto aereo già acquistato. Ed è a questo punto che mentre un iscritto al master, Cristiano Vignali viene raggiunto da una telefonata di un rappresentante degli studenti che, dicendo di parlare a nome del Rettore, gli preannuncia “conseguenze” nel caso avesse continuato a raccogliere firme a favore della libertà di lezione di Faurisson (ne aveva raccolte in poche ore una sessantina, prima di essere intimidito e bloccato) spuntano fuori due documenti inquietanti: il primo è la famosa lettera del 16 maggio degli studenti “contestatori” del master, e il secondo è l’email del 1 giugno che riferisce di una riunione fra cosiddette “autorità accademiche” e un gruppo di iscritti desiderosi, pare, di fuoriuscire dal master.

CANZANO. Perché sarebbero documenti inquietanti?
MOFFA. La lettera del 16 maggio è curiosa non perché gli iscritti a un master non abbiano diritto ad esprimere le loro opinioni, ma perché è costruita in modo palesemente artificioso, come se chi l’avesse scritta o ispirata volesse comunque giungere a chiudere il master ingannando chi l’avesse letta. Una lettera in stile “siciliano”. A parte la faziosità di una missiva inviata alla sola stampa di centrosinistra – fra i destinatari mancano non solo Il Giornale e Libero, ma persino Il Tempo, dotato di una cronaca teramana e abruzzese: e questo la dice lunga sulla parzialita' dei firmatari - è da notare che nel testo l’accostamento che vi viene fatto fra Faurisson e l’Università di Teramo non include il master: e questo è ovvio, perché effettivamente il master e la lezione di Faurisson – come riconosciuto ufficialmente dallo stesso Pepe il giorno prima, e cioè il 15 maggio, e come ripetuto dalla stampa a partire almeno dal 12 maggio – erano stati ormai separati dalla mia decisione dell’11 precedente di trasferire la conferenza nel mio corso.
Di qui due domande: se gli iscritti firmatari del documento sapevano dell’avvenuta separazione – come sicuramente sapevano, vista la pubblicizzazione della notizia sulla stampa – a che titolo intervenivano in una polemica che non li riguardava, visto che il master da essi frequentato era ormai immune dal gravissimo peccato di affidare due ore di lezione sul negazionismo ad uno dei principali esperti mondiali di negazionismo? E se invece non sapevano della avvenuta separazione, se pensavano cioè – fatto invero incredibile, tanto più che alcuni di loro si erano già incontrati con Pepe – che Faurisson avrebbe svolto la sua conferenza dentro la cornice del corso di studi da essi frequentato, come mai il testo della lettera di denuncia non cita esplicitamente, a fini di migliore drammatizzazione, il master, ma parla solo di invito dello studioso francese all’Università di Teramo?
La lettera in effetti dice e non dice, allude, fa credere, e questo serve sia ad alimentare la campagna di stampa mediatica di alcune testate (a cominciare da l’Unità che si inventa niente meno che 20 firme al documento, sono in realtà una decina), sia alle tappe successive dell’assalto al master: gli incontri fra il gruppetto degli iscritti e i colleghi Orrù, Gallo e Gentiloni, e l’email del 1 giugno attestante gli esiti di una di queste riunioni. Entrambe i passi non sarebbero stati possibili senza la “confusione” di cui sopra. E in entrambe i casi di nuovo emerge l’illegalismo di tutta la procedura.

CANZANO. Perché illegalismo? Cosa c’è di strano o di illegale se degli iscritti al master di un Ateneo si rivolgono al Preside della Facoltà in cui si svolge il master?
MOFFA. Per quel che riguarda gli incontri, di nuovo siamo di fronte ad eventi di cui il coordinatore del master non ha saputo mai nulla, né del loro accadimento almeno fino a giugno, né dei loro contenuti in modo ufficiale fino ad oggi. Dello stesso email ho ricevuto copia in data 8 giugno, dopo il Consiglio di Facoltà di sospensione del master per una settimana. Se ne avessi avuto conoscenza prima, quel Consiglio di Facoltà sarebbe andato in modo differente.
Ma non è stato così: di nuovo, esattamente come nel 2001 con la vicenda dell’Osservatorio, il collega Moffa è stato scavalcato nel pieno di un procedimento istruttorio che lo riguarda: non é solo mancanza di flair play, è abuso di ufficio e violazione della legge 241/90.
E poi c’è l’email, che è semplicemente scandaloso: quel documento è un vero e proprio corpo di reato, da cui traspare non solo la volontà precostituita di sbranare il master e dividerne le spoglie fra colleghi concorrenti delegati dal Preside Pepe, ma anche un traffico di titoli universitari assolutamente illegale, un po’ come la vicenda di Chieti. Un documento di valenza non solo civilistica per il danno che produceva a un collega, ma anche penalistica, e che avrebbe meritato e anzi merita una indagine da parte della Facoltà.

CANZANO. E c’è stata questa inchiesta? Lei l’ha reclamata?
MOFFA. L’ho chiesta naturalmente, ma senza esiti. Il primo a opporsi è stato Bernardini, con l’alibi che il documento era anonimo perché tale nei fatti il mittente. Come dire che se uno riceve una lettera minatoria, non si deve indagare. O se uno trova un verbale stracciato nel cestino, e’ solo una bozza cestinata e non un possibile corpo di reato. Bernardini è fatto così: è lo “stalinogiuristaquandomipare” della Facoltà, lui adora Stalin che faceva rapine, ma è capace di ripetere – ad personam e ad hoc – che la forma è sostanza. Dove la sostanza è lui, e la forma si solleva solo dove lui non c’è, non presenzia, non è protagonista. Le cito solo un paio di fatti per capire il personaggio: il primo è che la sentenza Tommolini rappresenta esattamente la fotografia di quanto denunciato per anni da lui stesso, oltre che da me e da altri, a proposito dello stato di salute dell’Ateneo. Ma da quando è uscita, Bernardini tace, fa finta che quel documento non esista. Perché? Perché gli rode, perché non è lui il protagonista, ma Moffa, il quale volentieri gli avrebbe lasciato il ruolo di imputato per tre anni, molto volentieri.
Secondo episodio: all’ultimo Consiglio di Facoltà, dopo una battuta su una cassa rubata che spero sia stata verbalizzata, ha chiesto nientemeno che dichiarassi ufficialmente che non stavo registrando il dibattito in Consiglio. La sua ossessione era che se avessi mai registrato il suo intervento, i suoi “compagni” exatraccademici – che già gli hanno scritto una letteraccia per un suo recente, ambiguissimo articolo su il Centro: lo hanno definito con linguaggio colorito ma efficace prono ai “servi” dei poteri forti, o qualcosa del genere - avrebbero potuto scoprire il suo nefando ruolo in questa vicenda, del resto ben simboleggiato dal suo voto a favore della mozione finale di Pepe, quella del comunicato stampa sulla “non coerenza del master con la politica di Facoltà”.

CANZANO. E quindi è stato Bernardini ad impedire l’inchiesta…
MOFFA. Non ho detto questo, Bernardini non conta nulla in Facoltà, in questa vicenda ha contato solo perché il gruppetto che lui dice di aver sempre contestato gli ha dato via libera e lo ha usato come testa d’ariete rosa da gelosia senile. Il problema vero è stato ed è Pepe, il sindacalista-compagno che ha sfruttato per anni la forza lavoro docente lunga la tratta Giulianova-Teramo e ritorno, in omaggio al suo ex padrone Russi: perché il fatto è che l’istruttoria per la prima volta formalizzata davanti al principale interessato – cioè il sottoscritto coordinatore – nel Consiglio di Facoltà del 5 giugno, è stata condotta proprio dal Preside.

CANZANO. Questo è normale per un Preside alle prese con un problema della sua Facoltà …
MOFFA. Normale in una situazione normale. Ma in questo caso chi controlla il controllore? Poteva il Preside aprire un istruttoria sui colloqui fra iscritti e colleghi di Facoltà da lui stessi voluti? Poteva il Preside aprire un’inchiesta su un email scandaloso che tratta di uno di quegli incontri, quello del 28 maggio? No di certo. Di nuovo si è reiterata la situazione del 2001, dove Mazzonis, parte in causa nel contenzioso con Moffa, presiedeva la riunione del 5 aprile, quella che avrebbe deciso della (inesistente) illegittimità del legittimissimo emolumento di Moffa. Un abuso nell’abuso.
Una mentalità autoritaria quella di Pepe – tipica di quello che a destra si definisce “fascismo rosso”, anche se di rosso non ha proprio nulla - che lede non solo i legittimi interessi di Claudio Moffa, che con fatica enorme ha costruito e fatto crescere il master Enrico Mattei in Medio Oriente in questi due anni, ma anche e soprattutto il principio di libertà di insegnamento e l’autonomia didattica e di ricerca di qualsiasi collega: tanto che dopo la mia dichiarazione di voto finale, persino alcuni colleghi miei avversari hanno mostrato perplessità sul discorso conclusivo del preside, metà fascista e metà schizoide. E già, perché al master lui, Pepe, ha partecipato come docente. Come fa a partecipare a un corso di studi che poi al primo cambio di vento, o per due ore di lezione presuntamente sbagliate, quelle di Faurisson, giudica contrario alla politica della Facoltà, una “politica” da lui stesso stabilita o meglio inventata non si sa come? Pazzesco. Pepe è fatto così, è uno che pretende di imporre le sue conclusioni a tutti pur non avendone i titoli.
Ricordo al proposito un episodio significativo, quando si presentò in chiusura del convegno su Enrico Mattei in aula tesi, e senza aver presenziato nemmeno per un minuto allo svolgimento dei lavori – con relazioni di spessore, come quelle anche testimoniali di Macaluso e Galloni – “chiuse” a suo dire il dibattito dicendo più o meno: basta con Marx (ma quando mai si era parlato di Marx al convegno?), basta con la Democrazia cristiana, cioè il partito di Mattei. Doppiamente pazzesco. Pepe, che aveva svolto il suo bravo compitino davanti a Andreotti, quando gli offrii l’occasione di sedere accanto al senatore, il giorno della prolusione della prima edizione del master!
Quando sentii, al convegno su Mattei quell’attacco ridicolo alla ormai scomparsa Democrazia cristiana e a un non citato Marx rimasi impietrito. Non così un ex collaboratore di Mattei, un ingegnere dell’ENI relatore al convegno, che lo interruppe ripetutamente chiedendogli ragione del suo sproloquio antimatteiano. Pepe è uno di quei laici laicisti postmarxisti che costituiscono l’asse portante di gran parte del centrosinistra. Mi ha detto lui stesso che nella sua Fondazione ci sono sei ricercatori o collaboratori che sanno tutto delle strutture concentrazionarie (traduci: i campi di concentramento) e che dicono che Faurisson mente. Al di là dell’io so tutto, ecco a cosa si è ridotta la memoria della CGIL di Di Vittorio: allo studio dei lager e delle loro cifre (certo importante, ma che non c’entra nulla con le tematiche sindacali) anziché a quello dei salari reali e dei disoccupati, e delle paurose cifre che li caratterizzano dopo le privatizzazioni e l’introduzione del cambio euro decise fin dagli anni Novanta dal centrosinistra.

CANZANO. Veniamo al consiglio di facoltà del 12 giugno. Che è successo?

MOFFA. E’ stato l’atto finale della sequela di illegalismi a mio danno. In pratica mi hanno costretto ad uscire dall’aula nel momento in cui parlavano della relazione da me presentata, delle carte del master da me prodotte su loro richiesta. Come se si stesse discutendo dei titoli o della relazione triennale di un collega, casi in cui è prevista l’uscita dell’interessato. Ma questo non era certo il caso. Si era IN UN CONFLITTO FRA COLLEGHI, al momento finale del processo istruttorio nei miei confronti, e facendomi uscire dall’aula mi hanno impedito di illustrare e contestualizare quanto avevo prodotto. In pratica hanno impedito di difendermi. Inaudito.

CANZANO. Lei parla di abusi e il legalismi a suo danno. Ma non sembra credibile: come mai le autorità giudiziarie abruzzesi non hanno mai rilevato nulla in tutti questi anni, tranne, mi pare di capire, l’esito positivo del suo processo?
MOFFA. Già, anche per me questo è un vero e proprio mistero, tanto più che alcuni PM e GIP, così come molti magistrati del TAR abruzzese sono bravissimi, tanto bravi da insegnare e avere rapporti di collaborazione professionale con il nostro Ateneo. Come mai allora archiviano denunce per verbali falsi, per concorsi imposti dal rettore al Consiglio di Facoltà, e per tanti altri episodi puntualmente descritti? Come mai tardano a rinviare a giudizio una persona accusata da un giudice loro collega di aver falsificato un verbale? Boh, francamente non capisco, e mi rendo conto che questo è il lato debole della mia difesa. La giustizia in Italia, si sa, è il fiore all’occhiello del nostro sistema democratico.

CANZANO. Un’ ultima domanda professore, adesso cambiamo scenario, andiamo a Roma. Pensa che avrà successo l’iniziativa del trasferimento del master? E non teme che verrà ostacolata dalle stesse forze che l’hanno boicottata a Teramo?
MOFFA. Credo che parlano i fatti. Siamo ai primi passi – e uso il plurale perché siamo un gruppo di docenti, colleghi e amici ben determinato ad andare avanti, gente con cui ho piacere di collaborare collegialmente - e già ci sono 8 richieste di iscrizione per il prossimo anno. Quanto ai nemici, continueranno ad esistere: non so Teramo, vista ormai la lontananza, ma sicuramente gli oltranzisti della comunità ebraica. Ma se, come lei mi raccontava, a Roma esiste un master dedicato all’Olocausto, perché non dovrebbe esistere un master, non revisionista, non centrato sul negazionismo, ma semplicemente aperto a tutti, a tutte le posizioni, da una lezione di Tranfaglia a una di Faurisson, da una conferenza dell’ambasciatore iraniano a una dell’ambasciatore israeliano?
Questa è libertà di insegnamento, questo è vero sapere, un sapere che non può nascere dai Tribunali dell’Inquisizione ebraica o cattolica o islamica, ma solo dal libero confronto di idee. Questo è il nostro progetto, lo stesso di Teramo. Ma a Teramo l’invidia è stata più forte della coscienza di quanto il master abbia beneficiato e avrebbe potuto continuare a beneficiare una Università in costante calo di iscritti.
A Roma sarà diverso, tranne che per una caratteristica dei corsi di studi che attiveremo. Non saranno prescrittivamente “controcorrente” – la contestazione per la contestazione è una scelta idiota, è stata quella dei “contestatori” del master - ma neppure prescrittivamente “politically correct”: chi vuole il politicaly correct – il sapere “lecito” per fare guerre facendo finta di lavorare per la pace - dovrà andare a Teramo, al master internazionalista guidato, una volta eliminato Moffa, dal grande timoniere Adolfo Pepe. Perché è questo e' molto probabilmente il segreto disegno del Preside sindacalfascista di Teramo: rubare il posto a Moffa, per trovarsi una nuova collocazione nel momento, al termine del secondo mandato, in cui dovrà abbandonare giocoforza il suo attuale ruolo di Preside.
giovanna.canzano@email.it
338.3275925

 
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